L’attacco dei pirati (prima parte)

Mentre Sandokan ed i suoi compagni, ucciso lo strangolatore, che aveva cercato di sorprendere Tremal-Naik, si preparavano a scalare audacemente la pagoda, il grosso della banda, guidato da Kammamuri e da Sambigliong, si era arrestato in mezzo alla jungla a cinque o seicento metri dallo stagno, aspettando il segnale per spingersi innanzi.

Durante la traversata dal Mangal a quel luogo non avevano incontrato nessun essere vivente, né Punthy, che li precedeva, aveva mai dato alcun segno d’inquietudine. Kammamuri che conosceva i dintorni della pagoda meglio ancora di Tremal-Naik, essendo stato per sei mesi prigioniero dei Thugs, aveva collocati i suoi uomini di fronte all’entrata della pagoda che scorgeva benissimo, sebbene un po’ lontano, in causa della sua alta gradinata e le sue enormi colonne sostenenti due mostruose statue rappresentanti Kalí danzante sul cadavere d’un gigante.

Il ritorno di Darma gli aveva annunciato che ormai il suo padrone doveva aver scalata la cupola della pagoda, perciò aveva dato ordine alla truppa di avanzarsi fino al margine della jungla onde essere piú pronti ad accorrere in aiuto di lui e dei suoi audaci compagni.

– Non mancano che pochi minuti a mezzanotte, – disse a Sambigliong che gli si era coricato a fianco. – Il segnale non tarderemo a udirlo.

Sono pronti i petardi?

– Ne abbiamo dodici, – rispose il mastro dellaMananna .

– Sanno usarli i tuoi uomini?

– Sono tutti famigliarizzati colle bombe. Ne facevamo grande consumo quando abbordavamo le navi degl’inglesi.

Non temere: la porta salterà, anche se sarà di ferro.

Credi che opporranno resistenza i Thugs?

– Non si lasceranno strappare la piccola Darma senza impegnare la lotta, – rispose Kammamuri. – Gli strangolatori sono coraggiosi e affrontano la morte senza tremare.

– Ve ne saranno molti?

– Quand’io ero loro prigioniero non ve n’erano mai meno di due o trecento nei sotterranei.

– Mastro, – disse in quel momento un malese, che gli stava da presso, – vedo le finestre della pagoda illuminarsi.

Kammamuri e Sambigliong erano balzati in piedi.

– I Thugs devono aver accesa la grande lampada, – disse il maharatto. – Essi si preparano a fare l’offerta del sangue.

– E la Tigre della Malesia, che cosa farà? – si chiese Sambigliong.

– Pronti! – comandò Kammamuri.

I trenta pirati si erano alzati come un solo uomo, armando le carabine.

In quel momento un clamore spaventevole s’alzò nella pagoda, accompagnato da un primo colpo di fucile, poi da una scarica.

– Assalgono il capitano! – aveva gridato Sambigliong. – Su, tigrotti di Mompracem!

– Avanti! – aveva comandato Kammamuri.

La banda si era scagliata attraverso le ultime canne a passo di corsa, mentre nella pagoda le detonazioni si succedevano alle detonazioni e le urla raddoppiavano.

In cinque minuti i pirati superarono la distanza, ma quando giunsero dinanzi alla porta della pagoda, pareva che il combattimento fosse cessato, poiché non si udivano piú spari e le grida si perdevano in lontananza, affievolendosi rapidamente.

– I petardi! Presto! – gridò Kammamuri, dopo aver cercato, ma invano, di scuotere la porta di bronzo della pagoda.

Due malesi si erano slanciati sulla gradinata deponendo dinanzi alla porta due bombe che avevano già la miccia accesa, quando dalle macchie lí vicino s’udirono clamori orribili.

Due turbe d’uomini, armati di lacci e ditarwar , si erano improvvisamente scagliate sui pirati che si trovavano raggruppati alla base della scala.

Erano almeno duecento strangolatori, nudi come vermi e coi corpi unti d’olio di cocco per sfuggire piú facilmente alle strette degli avversari.

I malesi ed i dayachi, quantunque sorpresi da quell’improvviso e inaspettato assalto, non si erano perduti d’animo.

Con rapidità fulminea si disposero su due fronti e accolsero i piú vicini con due terribili scariche di carabine, gettandone a terra una trentina fra morti e moribondi.

– Tenete strette le file! – aveva gridato Sambigliong.

Malgrado quelle due scariche, gli strangolatori non si erano arrestati. Urlando come belve feroci, si erano gettati all’impazzata sul piccolo drappello, credendo di schiacciarlo facilmente e di disperderlo, ignorando d’aver di fronte i piú formidabili guerrieri dell’arcipelago malese, cresciuti fra il fumo delle artiglierie ed agguerriti da cento abbordaggi.

Le tigri di Mompracem, gettate le carabine, avevano impugnate le loro pesanti sciabole, armi terribili nelle loro mani e meglio adatte a difendersi dai lacci che sibilavano in tutte le direzioni, mentre Darma e Punthy lavoravano di denti sulle carni dei nemici.

Addossati dorso contro dorso, i prodi scorridori del mare ricevettero il formidabile urto senza oscillare, grandinando sciabolate sui piú vicini.

Una mischia tremenda s’impegnò, mischia però che ebbe la durata di pochi minuti, perché i malesi ad un comando di Sambigliong, a loro volta caricarono gli assalitori, con tale slancio da spazzare il suolo.

Come aveva detto Sandokan a de Lussac, una volta lanciati, i suoi uomini non dovevano piú fermarsi.

Vedendo i Thugs ripiegarsi confusamente, si erano scagliati fra le due turbe, massacrando quanti se ne trovavano dinanzi, mentre i dayachi di Kammamuri, riprese le carabine, mantenevano un fuoco infernale per appoggiare l’attacco dei loro camerati.

Nel momento istesso in cui gli strangolatori volgevano le spalle, i due petardi, collocati sulla cima della gradinata, scoppiavano con orribile frastuono, scardinando e abbattendo la porta di bronzo della pagoda.

Una banda di indiani che si era ripiegata verso la gradinata, tentando di riorganizzare la resistenza, udendo i battenti a crollare, salí precipitosamente, invadendo la pagoda.

– Lasciate gli altri! – gridò Kammamuri. – Al tempio! Al tempio! La Tigre della Malesia è là!

Sambigliong! Proteggici alle spalle!

Si slanciò sulla gradinata seguito dai dayachi, mentre i malesi del mastro dellaMarianna finivano di disperdere i Thugs che avevano cercato di raggrupparsi presso le rive dello stagno, costringendoli a rifugiarsi nella jungla e verso un albero immenso che da solo formava una foresta, un enorme fico baniano sorretto da una moltitudine di tronchi.

I Thugs, rifugiatisi nella pagoda, avendo forse compreso che i loro avversari miravano ad invadere i sotterranei fecero però fronte all’attacco dei dayachi, caricandoli a loro volta coitarwar in pugno.

Quattro volte i pirati montarono intrepidamente all’assalto della gradinata ed altrettante volte dovettero ridiscenderla precipitosamente, lasciando qualche morto e qualche ferito.

Fortunatamente i malesi di Sambigliong correvano in loro soccorso.

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