L’insurrezione indiana (quarta parte)

Tutte le tettoie e perfino le vie erano ingombre di insorti, e nessuno dormiva. Chiacchieravano attorno a dei giganteschi falò, tenendo le armi a portata di mano, pronti a montare in sella al primo squillo di tromba.

Vi eranocipayes che indossavano ancora i loro pittoreschi costumi, avanzi di reggimenti di Merut, di Cawnpore, di Allighur e di Lucknow, bundelkani di Tantia Topi e della Rani, seikki barbuti con enormi turbanti e scimitarre pesantissime e fucili lunghissimi; orissani e perfinomaharatti di forme stupende che parevano statue di bronzo.

Pareva che aspettassero qualche assalto improvviso, avendo tutti i cavalli imbrigliati ed insellati.

Il drappello, guidato da Bedar e sempre scortato dai cavalieri, giunse ben presto su una vasta piazza pure ingombra d’insorti ed illuminata da enormi cataste di legna accesa, e s’arrestò dinanzi ad una costruzione in muratura, assai malandata, colle pareti qua e là forate da palle di cannone e da granate e che doveva essere stata prima un elegantebengalow di proprietà di qualche ricco inglese di Delhi.

– È qui che dimora il generale, – disse Bedar.

Diede alle due sentinelle, che vegliavano dinanzi alla porta, la parola d’ordine ed introdusse i pretesi insorti nella prima stanza, dove trovarono ilsubadhar il quale stava chiacchierando con parecchi uomini d’alta statura, dei montanari del Bundelkund probabilmente, armati fino ai denti.

– Deponete le vostre pistole e le vostre sciabole, – disse, rivolgendosi a Sandokan ed agli altri.

I due scorridori del mare, Tremal-Naik ed i loro compagni obbedirono.

– Ora seguitemi, – continuò il subadhar. – Il generale vi aspetta.

Furono introdotti in un’altra stanza assai vasta, con pochi mobili sgangherati ed alcune sedie di bambú zoppicanti che erano ancora macchiate di sangue, indizio certo che là dentro era avvenuta qualche lotta accanita.

Quattro montanari seikki, tutti di forme erculee, custodivano le due porte, tenendo le scimitarre sguainate.

Dinanzi ad un tavolo stava invece un uomo piuttosto vecchio, colla barba quasi bianca, il naso adunco come il becco d’un pappagallo e gli occhi nerissimi e scintillanti come carbonchi.

Vestiva come i mussulmani dell’India settentrionale, che hanno conservato il costume tartaro-turcomanno e sulle maniche di seta verde aveva dei vistosi galloni d’oro.

Vedendo entrare Sandokan e gli altri, aveva alzata la testa, socchiudendo le palpebre come se la luce che proiettava la lampada sospesa al soffitto gli offendesse la vista, osservò in silenzio per qualche minuto, dicendo quindi, con voce nasale:

– Siete voi che chiedete il permesso di entrare in Delhi?

– Sí, – rispose Tremal-Naik.

– Per combattere e morire per la libertà

– Contro il nostro secolare oppressore: l’inglese.

– Da dove venite?

– Dal Bengala.

– E come avete fatto a passare attraverso le linee nemiche senza essere stati fermati? – chiese il vecchio generale.

– Abbiamo approfittato della notte, che era oscurissima ieri, poi ci siamo nascosti in una capanna diroccata fino a che scorgemmo ilsubadhar .

Il vecchio rimase per alcuni istanti ancora silenzioso, fissando specialmente Sandokan ed i suoi malesi, il cui colore doveva avergli fatto una certa impressione, poi riprese:

– Tu sei bengalese?

– Sí, – rispose Tremal-Naik senza esitare.

– Ma gli altri non mi sembrano indiani. La loro pelle ha un colorito che non ho mai veduto sulle genti del nostro paese.

– È vero, generale. Quest’uomo, – disse, indicandoSandokan, – è un principe malese, nemico acerrimo degl’inglesi che ha parecchie volte sconfitti e battuti sanguinosamente sulle coste del Borneo e gli altri sono suoi guerrieri.

– Ah! – fece il generale – E perché è venuto qui?

– Era venuto a Calcutta a trovarmi, essendo stato io alcuni anni or sono suo ospite ed avendo appreso da me che gl’indiani si preparavano ad insorgere, offerse il suo braccio potente ed il suo sangue alla nostra causa.

– È vero? – chiese Abú-Assam, rivolgendosi verso la Tigre.

– Sí, il mio amico ha detto la verità, – sono stato per lunghi anni il nemico piú tremendo degl’inglesi sulle spiagge del Borneo. Io li ho sconfitti piú volte a Labuan e sono stato io a rovesciare James Brooke, il potente rajah di Sarawak.

– James Brooke! – esclamò il generale, passandosi una mano sulla fronte come per ridestare qualche lontano ricordo. – Sí, deve essere quel tenente della compagnia delle Indie che ho conosciuto nella mia gioventú e che mi avevano detto che era diventato un rajah di una grande isola malese.

Già era un inglese anche quello, dunque tuo nemico. E l’altro che ha i lineamenti regolari come quelli d’un europeo, da dove viene? – chiese poi additando Yanez.

– È un amico del principe.

– E anche quello odia gli inglesi?

– Sí.

– Gli inglesi soli? – chiese il generale alzandosi e cambiando bruscamente tono.

– Che cosa vuoi dire, generale? – chieseTremal-Naik,con inquietudine.

Invece di rispondere il vecchio disse:

– Sta bene: fra due o tre ore partirete per Delhi colsubadhar onde non vi scambino per nemici e vi fucilino. Seguite la scorta che vi ha qui condotti, ma lasciate qui le armi che non vi verranno restituite se non entro le mura della città.

– Dove ci condurrà la scorta?

– Al deposito degli arruolamenti, – rispose il generale, facendo loro cenno colla mano di uscire.

Tremal-Naik ed i suoi compagni obbedirono e ritrovarono al di fuori la scorta ed ilsubadhar .

– Seguitemi signori, – disse questi, facendoli circondare dai suoi uomini. – Tutto va bene.

Bedar si era accostato a Tremal-Naik, sussurrandogli agli orecchi.

– Non fidatevi: la va male per voi, ma ci rivedremo presto.

La scorta si era appena messa in marcia, quando due uomini che avevano il viso semi-nascosto dagli enormi turbanti, e che erano gli stessi che avevano accompagnato ilsubadhar alla casupola, entrarono nella sala del generale.

– Sono essi? – chiese il vecchio, vedendoli entrare.

– Sí, li abbiamo riconosciuti perfettamente, – rispose uno dei due. – Sono essi che hanno invasa la pagoda di Kalí, che hanno inondati i sotterranei e che hanno fatto strage dei nostri. Essi sono alleati degl’inglesi.

– L’accusa è grave, figliuoli, – disse il vecchio.

– Se sono giunti qui, non devono avere che un solo scopo: quello di sorprendere il nostro capo e trucidarlo.

– Che cosa pretendete dunque?

– Che tu li tratti come traditori o tutti i Thugs che sono in Delhi e che sono pronti a morire per la libertà dell’India domani lasceranno le bandiere dell’insurrezione.

– Gli uomini sono troppo preziosi in questo momento per perderli, – disse il vecchio dopo un istante di riflessione. – Siamo già troppo pochi per difendere una città cosí vasta. Avete la mia parola: andate.

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