L’insurrezione indiana (terza parte)

– Basterà per noi, – rispose Tremal-Naik. – Deponi e se sei libero cena con noi.

– È un onore che non rifiuterò, – disse ilcipai .

Aprí la cesta e levò la cena, non troppo copiosa; tuttavia poteva bastare.

Sandokan e Yanez, che non avevano ancora aperta la bocca e che tuttavia erano lietissimi di quell’incontro, mangiarono con appetito, imitati dalla loro scorta e da Tremal-Naik.

– Lasciate che vi presenti un valorosocipai del defunto capitano Macpherson, uno di quelli che hanno preso parte alla prima spedizione contro i Thugs di Suyodhana.

– Dunque hai assistito alla morte dello sventurato capitano? – chiese Sandokan.

– Sí, signore, – risponde ilcipai , con voce commossa. – È spirato fra le mie braccia.

– Conoscerai quindi Suyodhana, – disse Sandokan.

– L’ho veduto come vedo voi in questo momento, perché quando fece fuoco sul mio povero capitano non era che a dieci passi da me.

– Come sei sfuggito alla morte?

– Mi hanno raccontato che i Thugs di Suyodhana avevano distrutti gli uomini che erano assieme al capitano.

– Per una fortunata combinazione,sahib , – rispose ilcipai . – Avevo ricevuto un colpo ditarwar sul capo, mentre cercavo di rialzare il capitano che aveva ricevuto due palle nel petto. Il dolore che provai fu tale, che caddi svenuto fra le alte erbe della jungla.

Quando ritornai in me un profondo silenzio regnava nelle immense pianure delle Sunderbunds. Mi trovavo fra cumuli di cadaveri. I Thugs non avevano risparmiato nessuno deicipayes che accompagnavano il capitano. Tutti i miei compagni erano caduti, dopo però aver venduta la vita a ben caro prezzo; non vi erano meno di duecento strangolatori distesi fra le erbe.

La ferita che aveva ricevuto non era grave. Arrestai il sangue e dopo d’aver cercato, senza riuscire a trovarlo, il cadavere del mio capitano, fuggii verso il fiume sperando di trovarvi ancora la cannoniera che ci aveva condotti nelle Sunderbunds.

Non vidi invece che dei rottami e dei cadaveri galleggianti: Suyodhana, dopo d’aver distrutti icipayes , aveva dato l’assalto anche alla nave e l’aveva fatta saltare mettendo qualche miccia nel deposito delle polveri.

– Sí, abbiamo saputo anche questo, è vero Tremal-Naik? – disse Sandokan.

Il bengalese che era diventato assai triste, fece col capo un segno affermativo.

– Continuate, – disse Yanez, volgendosi verso ilcipai . – Questi particolari m’interessano. Non vi era piú nessuno sul Mangal, dei vostri?

– Nessuno, signori, perché anche l’equipaggio della cannoniera, che ai primi colpi di fucile era accorso in nostro aiuto, a sua volta era stato sterminato dai Thugs.

– Erano molti dunque quei furfanti? – chiese Sandokan.

– Quindici o venti volte piú numerosi di noi, – rispose ilcipai . – Errai per due settimane fra le jungle, vivendo di frutta selvatiche, correndo venti volte il pericolo di venire fatto a brani dalle tigri o tagliato in due dai gaviali, finché passando d’isola in isola, raggiunsi le rive dell’oceano dove finalmente venni raccolto da una barca montata da pescatori bengalini.

– Bedar, – disse Tremal-Naik, dopo un po’ di silenzio. – Hai piú riveduto Suyodhana?

– Mai, signore.

– Eppure noi sappiamo, da fonte sicurissima, che egli si trova in Delhi.

Ilcipai fece un soprassalto.

– Lui qui! – esclamò. – So che i Thugs hanno abbracciata la nostra causa e che numerosi drappelli sono giunti dal Bengala, dal Bundelkund e anche dall’Orissa, ma non ho udito a parlare dell’arrivo del loro capo.

– Noi siamo venuti qui per cercarlo, – disse Tremal-Naik.

– Volete regolare il vecchio conto? Se tale fosse la vostra intenzione, potete contare interamente su di me, signor Tremal-Naik, – disse Bedar. – Ho anch’io da vendicare il mio capitano che amavo come fosse mio padre, quantunque io indiano e lui inglese, e tutti i miei camerati caduti cosí miseramente nelle Sunderbunds.

– Sí, – disse il bengalese con voce terribile. – Sono venuto qui per ucciderlo e per strappargli mia figlia che mi ha rapita alcuni mesi or sono.

– Vostra figlia rapita!

– Ti narreremo piú tardi ciò. Mi preme ora sapere da te se noi potremo entrare in Delhi, o meglio se Abú-Assam ce ne darà il permesso.

– Io non ne dubito, signori, non avendo alcun motivo per credervi spie degl’inglesi. Chi potrebbe asserire ciò? L’avete veduto il generale?

– Non ancora; sappiamo che ilsubadhar che ci ha condotti qui, lo ha avvertito del nostro arrivo.

– È molto che siete qui?

– Un’ora.

– E non vi ha fatto ancora chiamare.

– No.

– È strano, – disse ilcipai . – Ordinariamente non indugia mai. Lasciate che vada a trovare ilsubadhar , che deve essere lo stesso che mi ha incaricato di servirvi da cena.

Si era appena alzato e si preparava ad uscire, quando lo vide comparire accompagnato da due indiani che tenevano il viso nascosto da una pezzuola che pendeva dai loro enormi turbanti.

– Venivo in cerca dite,subadhar , – disse ilcipai . – Questi uomini cominciano ad impazientirsi e mi hanno detto che hanno fretta di recarsi a Delhi.

– Venivo appunto ad avvertirli di pazientare ancora un quarto d’ora, essendo in questo momento il generale occupatissimo. Tu li condurrai, Bedar.

– Va bene,subadhar , – rispose ilcipai .

Ciò detto il comandante si allontanò facendo cenno ai due uomini che lo accompagnavano di seguirlo.

– Chi sono quei due indiani con quegli immensi turbanti? – chiese Sandokan alcipai che li seguiva cogli sguardi. – I suoi aiutanti?

– Non saprei, – rispose Bedar che pareva un po’ preoccupato. – Mi parvero due seikki.

– E perché avevano il viso nascosto?

– Avranno fatto qualche voto.

– Ve ne sono altri seikki nel campo? – chieseTremal-Naik.

– Non molti. I piú si sono uniti agl’inglesi, dimenticando che anche essi sono indiani al pari di noi.

– Avete speranza di tenere testa agl’inglesi?

– Uhm! – fece ilcipai , crollando la testa. – Se tutti gli indiani si fossero levati in armi, a quest’ora non vi sarebbe piú un inglese nell’Indostan.

Hanno avuto paura e ci hanno lasciati soli e noi pagheremo per tutti, poiché sono certo che quei maledetti europei non ci daranno quartiere. Sia! Mostreremo loro come sanno morire gl’indú.

Trascorso il quarto d’ora, Bedar si alzò dicendo:

– Seguitemi, signori. Abú-Assam non ama aspettare.

Lasciarono la casupola, seguiti da un drappello di cavalieri, che fino allora si era tenuto nascosto dietro una vicina capanna, e si avviarono verso la piazza centrale dove Abú-Assam aveva collocato il suo quartier generale.

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