Nel rifugio dei Thugs (prima parte)

Come mai quel terribile vecchio, fuggito quasi inerme fra le isole pantanose delle Sunderbunds, era riuscito a sfuggire al veleno dei serpenti cobra, alle spire dei formidabili pitoni, ai denti dei gaviali e agli artigli delle pantere e delle tigri, attraversare le lagune e giungere ancora nel covo dei settari di Kalí?

E come mai invece di veder comparire Suyodhana colla piccola Darma per compiere l’offerta del sangue, si trovavano invece dinanzi a quella turba di fanatici? Erano stati traditi da Sirdar od erano stati veduti a scalare la pagoda?

Né Sandokan né gli altri ebbero il tempo di trovare la soluzione a quelle domande.

I Thugs piombavano addosso a loro da tutte le parti coi lacci, coi fazzoletti di seta, coitarwar e coi pugnali, urlando spaventosamente.

– A morte i profanatori della pagoda! Kalí… Kalí.

Sandokan, pel primo, si era slanciato fuori dalla nicchia, puntando la carabina verso ilmanti che precedeva gli strangolatori, tenendo nella destra ilkampilang che aveva preso ad una delle due sentinelle delpraho e nella sinistra una fiaccola.

– A te la prima palla, vecchio! – tuonò il formidabile pirata.

Un colpo di fucile seguí quelle parole, ripercuotendosi nella immensa cupola come lo scoppio d’un petardo.

Ilmanti si era lasciato sfuggire ilkampilang , portando una mano al petto.

Stette un momento ritto dardeggiando su Sandokan uno sguardo ripiendo d’odio, poi stramazzò pesantemente quasi ai piedi della colossale statua che sorgeva nel centro della pagoda, urlando con voce strozzata:

– Vendicatemi… uccidete… sterminate… Kalí lo vuole!…

Gli strangolatori vedendo cadere il vecchio, si erano arrestati, lasciando cosí tempo a Tremal-Naik, a Yanez, al francese e ai quattro malesi di stringersi attorno alla Tigre della Malesia che aveva gettata la carabina per impugnare ilparang .

L’esitazione dei settari della sanguinaria divinità non ebbe però che una durata di pochi secondi. Forti della superiorità del loro numero, tornarono ben presto a scagliarsi, operando un fulmineo movimento aggirante e facendo volteggiare in aria i lacci ed i fazzoletti di seta.

Sandokan, che si era accorto a tempo del pericolo che correva il suo drappello se si lasciava circondare, si gettò verso la parete piú vicina, mentre i suoi compagni con una scarica di carabine gli aprivano il passo gettando a terra quattro o cinque uomini.

– Mano aiparangs !… – gridò Sandokan, addossandosi alla parete. – Attenti ai lacci! – Yanez, Tremal-Naik ed i loro compagni approfittando del varco aperto da quella scarica micidiale, lo avevano prontamente raggiunto vibrando colpi di sciabola in tutte le direzioni per troncare i lacci che cadevano a loro addosso, fischiando come serpenti.

La mossa della Tigre della Malesia e le perdite subite pareva però che avessero un po’ raffreddato lo slancio degli strangolatori, i quali avevano forse sperato, fino dal primo attacco, di vincere facilmente quel piccolo gruppo di avversari.

Un grido delmanti , il quale non aveva ancora esalato l’ultimo respiro, quantunque si dibattesse fra una pozza di sangue, li rianimò:

– Uccidete… distruggete… il paradiso di Kalí a chi muore… a chi mu…

La morte gli aveva troncata l’ultima parola, ma tutti avevano udita la promessa. Il paradiso di Kalí a chi muore! Non ci voleva di piú per infondere coraggio a quei fanatici.

Per la seconda volta si erano scagliati, incoraggiandosi con vociferazioni spaventevoli, tuttavia dovettero ripiegarsi ben presto dinanzi al fuoco del drappello.

Sandokan ed i suoi compagni avevano messo mano alle pistole, massacrando i piú vicini, a brucia-pelo.

Dieci o dodici Thugs erano caduti morti o feriti, formando dinanzi agli assaliti una specie di barriera. Un solo laccio era caduto sul signor de Lussac stringendogli ad un tempo il collo ed un braccio; Yanez con un colpo diparang lo aveva subito troncato.

L’effetto di quella seconda scarica, ben piú tremenda della prima, aveva sparso tra gli assalitori un vero panico, tanto piú che ilmanti non era piú là ad incoraggiarli. Sandokan, vedendoli ripiegarsi confusamente, non lasciò loro il tempo di riordinarsi per ritentare un nuovo attacco.

– Carichiamo! – gridò. – Addosso a questi banditi!

Il formidabile scorridore del mare si era già scagliato coll’impeto della belva di cui portava il nome, vibrando colpi terribili col pesanteparang che maneggiava come fosse un semplice spadino.

I suoi compagni lo seguivano, mentre i malesi mandavano urla selvagge e balzavano come antilopi, sciabolando senza misericordia quanti si trovavano a portata dei lorokampilangs .

I Thugs, impotenti a far fronte a quella carica furiosa, si erano precipitati verso la statua stringendolesi attorno, ma giunti colà, gettati i lacci e i fazzoletti di seta diventati ormai inutili in una lotta corpo a corpo, ed impugnati itarwar ed i coltellacci, impegnarono risolutamente la lotta, come se sperassero nella protezione della mostruosa dea.

Sandokan, furioso di trovare una resistenza che ormai credeva spezzata, li assaltò con slancio formidabile, tentando di disorganizzare le loro file.

La lotta diventava spaventosa. I colpi diparangs e dikampilangs , armi che avevano facilmente buon gioco contro i corti e debolitarwar ed i coltelli, grandinavano fitti, tagliando braccia e teste e squarciando petti e dorsi; pure gli strangolatori non allargavano le loro file ed opponevano una fiera resistenza.

Invano la Tigre della Malesia aveva trascinato tre volte alla carica i suoi uomini. Malgrado la strage che facevano le terribili sciabole bornesi, avevano dovuto retrocedere.

Stava per tentarne un altro, quando si udí improvvisamente a rullare in lontananza il grosso tamburo delle cerimonie religiose, l’hauk, seguíto quasi subito da alcune scariche di moschetteria, che rombavano al di fuori della pagoda.

Sandokan aveva mandato un grido.

– Coraggio amici! Ecco i nostri uomini che giungono in nostro aiuto! Addosso a questi banditi!

Non vi era piú bisogno di ritentare la carica, poiché gli strangolatori, appena udito il rullo dell’hauksi erano slanciati a corsa sfrenata verso la porta, dalla quale erano entrati nella pagoda e che probabilmente doveva mettere nelle misteriose gallerie del tempio sotterraneo.

Vedendoli fuggire, Sandokan non aveva esitato a slanciarsi dietro di loro, gridando:

– Avanti! Seguiamoli nel loro covo!

I Thugs, fuggendo, avevan gettato via parecchie torce. Yanez e Tremal-Naik ne raccolsero due e si misero dietro a Sandokan.

I Thugs erano già giunti presso la porta e si precipitavano nella galleria, urtandosi gli uni cogli altri per essere i primi a porsi in salvo.

Quando Sandokan ed i suoi compagni varcarono la soglia, gli strangolatori, che correvano come lepri, avevano già un notevole vantaggio.

Conoscendo i sotterranei, avevano spente le torce per non servire di mira ai colpi degli inseguitori, sicché non si scorgevano piú. Si udivano però a correre all’impazzata, essendo il terreno dotato d’una sonorità straordinaria.

Tremal-Naik che temeva un agguato, si era provato a trattenere la Tigre della Malesia, dicendo:

– Aspettiamo i tuoi uomini, Sandokan.

– Bastiamo noi, – aveva risposto il pirata. – Ci fermeremo piú innanzi.

Poi, presa la torcia che portava Yanez, si era inoltrato audacemente nel tenebroso passaggio, senza inquietarsi del continuo rullare dell’haukche forse chiamava a raccolta tutti gli abitatori dei sotterranei.

Un altro motivo poi lo spingeva a dare addosso ai Thugs; il timore che Suyodhana fuggisse colla piccola Darma, perciò si affrettava, senza badare ai pericoli a cui andava incontro.

Tutti si erano messi in corsa, vociando per spargere maggior terrore fra i fuggiaschi e farsi credere in numero maggiore, e percuotendo le pareti coikampilangs e coiparangs .

La galleria che metteva negli immensi sotterranei di Rajmangal, scendeva rapidamente.

Era una specie di budello, semi-circolare, scavato in qualche banco di rocce, largo appena due metri su altrettanti di altezza, interrotto di quando in quando da corte gradinate viscide. L’umidità trapelava da tutte le parti e dalla volta cadevano dei goccioloni, come se sopra vi passasse qualche fiume o si estendesse qualche stagno.

Gli strangolatori fuggivano sempre, senza cercare di opporre la menoma resistenza, ciò che sarebbe stato ben facile tentare, in un passaggio cosí stretto.

I pirati di Mompracem, Tremal-Naik ed il francese, li seguivano da vicino, vociferando e sparando anche di quando in quando qualche colpo di pistola.

Erano decisi a giungere nella pagoda sotterranea e di attendere colà i loro uomini che supponevano ormai già entrati nel tempio, udendo ancora un lontano fragore di fucilate.

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