Nelle jungle (terza parte)

Tutte le piante sono altissime e si sviluppano con rapidità prodigiosa perché il terreno è fertilissimo, ma come abbiamo detto sono ammalate, e hanno un non so che d’infinitamente triste che colpisce profondamente l’uomo che ha l’audacia d’inoltrarsi fra quel caos di vegetali.

È l’umidità o meglio la lotta incessante che si combatte sotto di essi, fra l’acqua che invade continuamente quelle terre e il calore solare che le prosciuga rapidamente; lotta che si rinnova ogni giorno da secoli e secoli senza alcun vantaggio né per l’una né per l’altro; lotta che non fa altro che sviluppare germi infettivi e miasmi mortali e che aiutati dal rapido corrompersi di quella vegetazione d’una ricchezza anormale, sviluppano il cholera asiatico.

Il terribile morbo, che quasi ogni anno fa immense stragi fra le popolazioni del mondo, ivi ha la sua sede. I microbi si sviluppano sotto quelle piante con rapidità prodigiosa e altro non attendono che i pellegrini indiani per espandersi in Asia, in Europa e in Africa.

Esso regna in permanenza fra i poveri villaggi dei molanghi, soffocati fra quelle canne smisurate; però di rado uccide quei disgraziati. Venga però l’europeo che non è acclimatato e lo fulmina in poche ore.

È l’alleato dei Thugs e vale meglio di tutte le fortezze e di tutte le barriere, per tenere lontane le truppe del governo del Bengala.

Ma non è solo il cholera che si trova bene fra quei pantani. Anche i serpenti, le tigri, i rinoceronti e i coccodrilli voracissimi ci stanno benissimo e si propagano meravigliosamente, senza sentirne danno alcuno.

Se le Sunderbunds sono tristi, sono il paradiso dei cacciatori, perché tutti i piú terribili animali dell’India vi si trovano. Vi vivono però in piena sicurezza a dispetto degli ufficiali inglesi, quegli accaniti cacciatori, i quali non osano inoltrarsi fra quel mare di vegetali, non ignorando che un soggiorno anche brevissimo, può essere loro fatale.

L’europeo non può affrontare i miasmi delle Sunderbunds: la morte lo attende, celata sotto l’ombra delle canne e deicalamus .

Se può sfuggire agli artigli delle tigri, al morso velenoso delcobra -capelloe del serpente del minuto o del bis-cobra e ai denti del gaviale, cade infallantemente sotto i colpi del cholera.

Il piccolo, ma animoso drappello, guidato da Tremal-Naik, procedeva lentamente, senza arrestarsi fra l’intricata jungla, aprendosi il passo a colpi diparang e dikampilang , non avendo trovato la menoma traccia di sentiero al di là dalla torre di rifugio.

I malesi della scorta, abituati già alla dura manovra deiparangs e dotati d’una resistenza e d’un vigore straordinario, tagliavano senza posa, insensibili ai morsi del sole che faceva fumare la loro pelle e anche ai miasmi che si sprigionavano da quei terreni melmosi.

Abbattevano a grandi colpi le mostruose canne, che parevano volessero soffocarli, facendole cadere a destra e a sinistra, per fare largo alle due donne e ai loro capi, i quali non s’occupavano che della sorveglianza, potendo darsi che da un istante all’altro qualche tigre facesse improvvisamente la sua comparsa.

Già avevano fiutato per due volte, su cinquecento passi penosamente guadagnati, l’odore caratteristico che esalano quelle pericolose belve, ma nessuna si era fatta vedere, spaventata forse dal numero delle persone e dal brillare delle carabine, armi che ormai quei sanguinari carnivori hanno imparato a temere.

Se il drappello fosse stato formato di poveri molanghi, armati d’un semplice coltellaccio o di qualche lancia, forse non avrebbero esitato a tentare un fulmineo assalto per portarne via qualcuno.

Di passo in passo che s’inoltravano, la vegetazione invece di scemare, diventava cosí folta, da mettere a dura prova la pazienza e l’abilità dei malesi, quantunque non fossero nuovi alle jungle.

Le canne si succedevano alle canne, serrate e altissime, interrotte solo di quando in quando da ammassi di calami, piante parassite d’una resistenza incredibile e che raggiungono spesso lunghezze di cento e perfino centocinquanta metri e da pozzanghere ripiene d’acqua giallastra e corrotta, che costringevano il drappello a fare dei lunghi giri.

Un caldo soffocante regnava in mezzo a quei vegetali, facendo sudare prodigiosamente malesi e indiani e soprattutto Yanez che nella sua qualità d’europeo, resisteva meno degli altri agli ardenti raggi del sole.

– Preferisco le nostre foreste vergini del Borneo, – diceva il povero portoghese, che pareva uscisse da un vero bagno, tanto le sue vesti erano inzuppate di sudore. – Mi pare di essere dentro un forno.

La durerà molto? Comincio ad averne fino ai capelli delle jungle bengalesi.

– Non la finiremo prima di dieci o dodici ore, – rispondeva TremalNaik, il quale pareva invece che si trovasse benissimo fra quei vegetali e quei pantani.

– Giungerò al tuobengalow in uno stato miserando. Bei luoghi hanno scelto i Thugs! Che il diavolo se li porti via tutti!

Potevano trovarsi un rifugio migliore.

– Di questo no certo, mio caro Yanez, perché qui si sentono pienamente sicuri. Belve e cholera; pantani e febbri che ti portano via un uomo in poche ore: ecco i loro guardiani! Sono stati furbi a ricollocare qui le loro tende.

– E dovremo girovagare fra queste jungle per delle settimane forse? Bella prospettiva!

– Gli elefanti sono alti e quando sarai accomodato sul loro dorso, l’aria non ti mancherà.

– Toh!

– Che cosa c’è? – chiese Yanez, levandosi dalla spalla la carabina.

I malesi dell’avanguardia si erano arrestati e si erano curvati verso il suolo, ascoltando attentamente.

Dinanzi a loro si apriva una specie di sentiero abbastanza largo, per lasciare il passo a tre e anche a quattro uomini di fronte e che pareva fosse stato fatto di recente, poiché le canne che giacevano al suolo, avevano le foglie ancora verdi.

Sandokan che scortava Surama e la vedova, li raggiunse.

– Un passaggio? – chiese.

– Aperto or ora da qualche grosso animale che marcia dinanzi a noi, – rispose uno dei malesi. – Deve essersi levato da soli pochi minuti.

Tremal-Naik si spinse innanzi e guardò il terreno su cui si scorgevano delle larghe tracce.

– Siamo preceduti da un rinoceronte, – disse. – Ha udito i colpi deiparangs e se n’è andato.

Doveva essere in uno dei suoi rari momento di buonumore. Diversamente ci avrebbe caricati all’impazzata.

– Dove si dirige? – chiese Sandokan.

– Verso il nord-est, – rispose uno dei malesi che portava una piccola bussola.

– È la nostra direzione, – disse Tremal-Naik. – Giacché ci apre la via seguiamolo: ci risparmierà della fatica. Tenete però pronte le carabine, da un momento all’altro può tornare sui propri passi e piombarci addosso.

– E noi saremo pronti a riceverlo, – concluse Sandokan. – Alla retroguardia le donne e noi in testa.

Cominceremo la nostra partita di caccia.

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