Sirdar (prima parte)

Il prigioniero, l’unico forse che era sfuggito a quel sanguinoso combattimento, non essendosi piú veduti tornare a galla i tre che si erano gettati nella laguna, era un bel giovane di forme quasi erculee, dai lineamenti piuttosto fini che potevano indicare un discendente delle alte caste, quantunque la sua pelle fosse quasi oscura come quella dei molanghi.

Sentendosi legare, aveva detto a Tremal-Naik che lo minacciava ancora coll’ascia bagnata nel sangue del vecchio pilota:

– Uccidimi pure: io non ho paura della morte. Abbiamo perduto: è giusto che pigli anch’io la mia parte.

Poi, dopo d’aver tentato inutilmente di spezzare i legami che gli stringevano le braccia e le gambe, si era steso sulla tolda senza piú nulla aggiungere, né manifestare alcuna apprensione per la sorte che credeva gli spettasse.

– Signor de Lussac, – disse Sandokan. – Sedetevi presso quest’uomo e badate che non fugga. Se lo tentasse, finitelo con un colpo di coltello e noi sbarazziamo la coperta di tutti questi morti. Respira ancora ilcornac ?

– È morto in questo istante, – disse Yanez. – Povero uomo! Il coltello del suo avversario gli è rimasto nella piaga.

– Ma io l’ho vendicato, – disse Sandokan. – Miserabili! L’avevano ordito bene il tradimento e possiamo dire che noi siamo vivi perché Allah l’ha voluto.

– E ci avevano rubate perfino le carabine per impedirci di difenderci.

– Come sapevano che noi eravamo qui?

– Ce lo dirà il prigioniero. Sgombriamo la tolda, Sandokan.

Aiutati da Tremal-Naik, gettarono in acqua i cadaveri dei Thugs; solo quello delcornac fu deposto nella cabina di poppa e coperto da una tela per dargli onorevole sepoltura piú tardi, onde sottrarlo ai denti dei gaviali.

Rovesciarono sulla tolda alcune secchie d’acqua per lavare il sangue che chiazzava qua e là le tavole, orientarono la velatura, essendo il vento girato al nord-ovest, ricollocarono a posto la barra, poi trascinarono a poppa il prigioniero, dovendo sorvegliare il timone.

Ilthug aveva lasciato fare, però nei suoi occhi si leggeva di già una certa apprensione, che s’accrebbe quando si vide circondato dai suoi nemici.

– Giovanotto mio, – gli disse Sandokan, senza preamboli. – Ami meglio vivere o morire fra i piú atroci tormenti? Non hai che da sceglire.

Ti avverto solo che noi siamo uomini che non ischerzano e ne hai avuto or ora una prova.

– Che cosa volete da me? – chiese il giovane.

– Conoscere molte cose che noi ignoriamo e che ci sono necessarie.

– I Thugs non possono tradire i segreti della loro setta.

– Conosci layouma ? – gli chiese bruscamente Tremal-Naik.

Ilthug sussultò ed un lampo di terrore gli passò negli occhi.

– Io conosco il segreto per comporre quella bevanda che scioglie le lingue e che fa parlare anche il piú ostinato muto. Foglie diyouma , un po’ di succo di limone ed un granello d’oppio: come vedi io ho la ricetta ed ho anche indosso quanto è necessario per preparare quella bevanda.

È quindi inutile che tu ti ostini a non tradire i segreti dei Thugs. Se taci te la faremo bere.

Yanez e Sandokan guardavano con sorpresa Tremal-Naik, ignorando di quale misteriosa bevanda intendesse parlare. Il signor de Lussac invece aveva approvate le parole del bengalese con un sorriso molto significante.

– Decidi, – disse Tremal-Naik. – Non abbiamo tempo da perdere.

L’indiano, invece di rispondere, fissò per alcuni istanti il bengalese, poi chiese:

– Tu sei il padre della bambina è vero? Tu sei quel terribile cacciatore di serpenti e di tigri della jungla nera che un tempo ha rapito la «Vergine della pagoda d’Oriente.»

– Chi te lo ha detto? – chiese Tremal-Naik.

– Il pilota della pinassa.

– Da chi lo aveva saputo?

Il giovane non rispose. Aveva abbassati gli occhi e sul suo viso si scorgeva in quel momento un’alterazione strana, che non doveva però essere prodotta dalla paura. Pareva che nel suo animo e nel suo cervello si combattesse una terribile battaglia.

– Che cosa ti ha detto quel miserabile traditore? – chiese Tremal-Naik. – Siete tutte canaglie vero, adunque?

– Canaglie! – esclamò improvvisamente il giovane, mentre con uno scatto improvviso, ad onta delle corde che lo stringevano, si alzava sulle ginocchia. – Sí, canaglie è il loro nome! Sono dei vili! Sono degli assassini ed io ho orrore di essere iscritto nella loro terribile setta.

Poi, digrignando i denti, aggiunse con voce strangolata:

– Che sia maledetto il mio destino che ha fatto di me, figlio d’un bramino, un complice dei loro delitti.

Kalí o Durga, sotto l’uno o l’altro nome, dea del sangue e delle stragi, io ti impreco. Sei una divinità falsa!

Tremal-Naik, Sandokan ed i due europei, stupiti da quel linguaggio e dall’ira terribile che avvampava negli sguardi del giovane, erano rimasti muti.

Capivano però che un cambiamento improvviso era avvenuto in quell’uomo che fino allora avevano creduto uno dei piú fanatici e dei piú risoluti seguaci della mostruosa divinità.

– Tu dunque non sei unthug ? – chiese finalmente Tremal-Naik.

– Porto sul mio petto l’infame stigmate di quei vili settari, – disse il giovane con voce amara, – ma l’anima è rimasta bramina.

– Giuochi qualche commedia? – chiese il signor de Lussac.

– Che io perda ilsattialoka e che il mio corpo, dopo la mia morte si tramuti nell’insetto piú ributtante, se io mentisco, – disse il giovane.

– Come ti trovi allora fra quei malandrini senza aver rinunciato a Brahma tuo dio per Kalí? – chiese Tremal-Naik.

Il giovane rimase per qualche istante silenzioso, poi disse, abbassando nuovamente gli sguardi.

– Figlio d’un uomo appartenente alle alte caste, d’un bramino ricco e potente, discendente d’una stirpe di rajah, avrei potuto essere degno della posizione che occupava mio padre. Il vizio mi traviò, il giuoco divorò le ricchezze mie, di gradino in gradino precipitai nel fango e divenni piú miserabile d’unparia . Un giorno un uomo, un vecchio che si spacciava per unmanti …

– Unmanti hai detto? – chiese Tremal-Naik.

– Lascialo finire, – disse Sandokan.

– Mi incontrò in una compagnia di giocolieri, – proseguí il giovane, – alla quale mi ero unito per non morire di fame.

Colpito forse dalla mia forza poco comune e dalla mia agilità, mi propose di abbracciare la religione della dea Kalí.

Seppi poi che i Thugs cercavano di arruolare degli uomini scelti per formare una specie di polizia segreta, onde sorvegliare le mosse delle autorità del Bengala, che li minacciava d’una totale distruzione.

Ero ormai disceso nel fango e la miseria batteva alla porta della mia capanna: accettai per vivere ed il figlio del bramino divenne un miserabilethug .

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