Capitolo XII – Il racconto di Jor

Il vecchio bretone si diede un gran pugno sulla fronte.

«Siamo in un bel pasticcio,» gridò. «Se Jor è venuto fin qui per avvertirci di qualche pericolo, noi non dobbiamo più perdere tempo, e bisogna obbedirgli. Dov’è Macchia di Sangue?»

«Senza dubbio nella batteria a lavorare di scalpo.» rispose Piccolo Flocco.

«Ai canotti subito.» soggiunse il mastro avventandosi ad uno dei boccaporti dei brigantino. «Macchia di Sangue, miei bravi Mandani… risalite sull’istante, ritorniamo all’accampamento… è il vostro sackem bianco che ve l’ordina. Un grave pericolo ci minaccia tutti.»

Grida gutturali di richiamo fecero eco alle parole di Testa di Pietra, propagando il comando.

Cominciarono ad uscire dai boccaporti gl’indiani, con le facce alterate, gli occhi torvi, sporchi di sangue. Alcuni stringevano fra i denti una o due capigliature e sostenevano sulle spalle sacchi ed involti di roba predata, o stringevano in pugno delle armi tolte ai nemici vinti.

Il sottocapo, Macchia di Sangue, aveva il volto insanguinato, probabilmente per un colpo di calcio datogli con un archibugio. ma aveva la cintura adorna di tre capigliature tolte via da teste inglesi con una abilità degna di un chirurgo specialista.

«Per tutti i campanili della Bretagna!…» borbottò il mastro. «Son famosi guerrieri i miei sudditi. Credo che dei poveri marinai di questo brigantino non ne sia rimasto uno sano e salvo.»

«All’infuori di quelli che sono fuggiti col marchese prima del nostro arrivo.»

«Taci. Piccolo Flocco, ché se ripenso a quel furfante di lord mi vien la voglia di prendere a pugni tutti i campanili della terra.»

«Non vorrei essere il campanaro, io, allora…»

«Non ne resterebbe in piedi uno solo.»

«Bum!… Trombone!…»

«Mozzo del Pouliguen, tu mi burli… ora mi manca il tempo, ma più tardi ti tirerò le orecchie.»

«Ah sì, tu abusi del tuo potere di sackem!…»

«Ti farò attaccare al palo della tortura, se occorre.»

«Uh, che paura!…»

Mentre quei diavoli d’uomini, in mezzo a tanti rischi, si compiacevano di scherzare come se fossero sulla tolda di una fregata in porto, i Mandani si affrettavano a scendere nei canotti che circondavano la nave.

Il mastro stimolava tutti, con dei gesti energici e con le sue famose esclamazioni, a far presto.

Quando il ponte del brigantino fu sgombro, egli e i suoi due compagni presero posto nel canotto in cui li attendeva quella birba di segretario.

«Ci siamo tutti?» gridò il bretone.

«Salvo quelli che sono morti,» rispose Piccolo Flocco.

«Si sa, la guerra ha le sue dure necessità. Avanti… forza con le pagaie, e cerchiamo di incontrare, in questa dannata oscurità, il bravo canadese. Ohé, Jor, dove siete? Urlate un po’ come una scimmia rossa, onde la vostra voce ci serva…da stella polare!…»

La flottiglia dei Mandani si era messa in moto guadagnando alquanto il largo, e filando rapida verso la foce del fiume.

Il canadese aveva udito Testa di Pietra chiamarlo e fargli quella bizzarra raccomandazione.

«Son qui,» rispose con tutta la sua voce. «Fate dirigere a questa volta il vostro canotto e prendetemi a bordo con voi.»

«Veniamo, Jor… Attenzione!…»

Nell’oscurità che continuava a regnare, non era facile orientarsi e manovrare in modo da evitare delle collisioni.

Ma Testa di Pietra era, oltreché un bravo cannoniere, un marinaio consumato, e diresse la manovra del suo canotto in guisa che poco dopo si trovava senza inconvenienti bordo a bordo con l’imbarcazione che portava Jor.

Il canadese non stette ad attendere l’invito per saltare a fianco del bretone.

«E dunque,» gli disse il vecchio mastro scotendolo rudemente per le spalle, «siete di ritorno… Avete rintracciato Riberac?»

«No.»

«Per il borgo di Batz!… Che è avvenuto di lui?» chiese il vecchio bretone con accento preoccupato.

«È un mistero…»

«Ecco una merce che io detesto. Amo le cose chiare io.»

«Mah… avete ragione, mastro.»

«Allora non avendo trovate le tracce del trafficante, voi siete ritornato all’accampamento con Wolf.»

«No.»

«Come no?»

«Ci sono ritornato solo.»

«E Wolf?»

«Scomparso.»

Hulrik, il quale aveva ascoltato il rapido colloquio. udendo quella risposta, ebbe un’esclamazione d’angoscia.

«Mio pofero fratello sparito…» gemette. «Oh mio Dio, quale discrazia?…»

«Sta’ tranquillo, ché lo ritroveremo.» rispose Testa di Pietra. «Per tutti i campanili della Bretagna, non si divora mica un assiano come se fosse un salsicciotto di Boston…»

«È fero, io sperare in puon mastro Testa di Pietra.»

«Il quale è, come tu sai, sackem di una tribù di famosi guerrieri.»

«Mastro, ho paura che la vostra carica di capo tribù con tutti i vantaggi relativi…» soggiunse Jor.

«Compreso quello d’aver una dozzina e più di mogli…» interruppe Piccolo Flocco che non poteva star mai zitto, né smettere di burlarsi del suo vecchio amico, ad onta delle minacce ricevute.

«Riposi sopra una specie di mina,» continuò il canadese mentre il bretone aggiustava un grosso pugno sulla schiena del gabbiere.

«Io non vi comprendo,» disse poi Testa di Pietra. «Capisco solo che un doppio pericolo ci minaccia. Da una parte la flotta del generale Burgoyne, dall’altra quello che voi…»

Un nuovo colpo di cannone rimbombò sul lago, tagliando la parola al mastro.

«Gambe, ragazzi,» disse il vecchio marinaio. «Per ora non si tratta che di segnali… di colpi in bianco. Se sapessero o s’immaginassero che siamo qui noi in una flottiglia di canotti, sentireste che grandini infuocate!…»

Le imbarcazioni indiane continuavano ad avanzare rapidamente verso la foce del fiume.

I Mandani non facevano più udire il loro canto di guerra e parevano tutti oppressi dal presentimento di una sventura.

«Jor,» soggiunse il mastro bruscamente, «che è avvenuto durante il vostro viaggio alla ricerca di Riberac?»

«Ve lo dico in breve, amico mio,» rispose il canadese. «Come sapete, io e Wolf siamo partiti insieme dall’accampamento indiano, e non abbiamo tardato molto a trovare le tracce di Riberac. Son vecchio d’esperienza in queste faccende e me ne intendo.»

«Per centomila fregate sventrate, lo so che voi canadesi siete famosi.»

«Bene; trovate le orme del trafficante ci siamo messi a seguirle, battendo la stessa strada. Noi ci allontanavamo di continuo dalle rive del lago, addentrandoci nei boschi, i quali però mi sono familiari come l’interno delle mie tasche. Avevo tuttavia la sensazione di qualche cosa di misterioso nascosto fra lo spessore di quella vegetazione, intorno a noi. Era una specie di presentimento sinistro che mi pesava in cuore. A un tratto le tracce del passaggio di Riberac si confusero con altre di una truppa d’uomini che giudicai essere indiani. Evidentemente il trafficante aveva incontrato gli Irochesi, forse qualche loro drappello di esploratori, e s’era unito ad esso. Osservando meglio le orme, constatai però che assieme a quelle di Riberac v’erano anche le orme di un altro uomo bianco. Proseguendo nelle mie ricerche scoprii un segno che mi diede da pensare. Era un pezzo di tela bianca inglese, come nessun indiano suole usarne, lacerata in una striscia e macchiata di sangue. Giudicai che essa aveva dovuto certamente servire da benda per coprire qualche ferita.»

«E che il ferito l’aveva buttata poi via nel cambiarla: ciò è evidente,» osservò il mastro.

«Vi sembra?»

«Senza dubbio.»

«Io la mostrai a Wolf, il quale fece una smorfia.»

«Eh, eh!»

«Ma sapete per quale ragione?»

«Per il borgo di Batz, non sono mica indovino io.»

«Perché egli avrebbe preferito trovare un buon prosciutto e una bottiglia di birra.»

«Son ghiotti, gli assiani, e dannati divoratori,» disse Testa di Pietra ridendo.

«È fero, assiani star ghiotti manciatori,» rispose Hulrik, «ma anche puoni compagni fedeli.»

«Ah non dico di no, amico mio: tu e tuo fratello Wolf avreste meritato di nascere nel borgo di Batz.»

«O in quello del Pouliguen,» brontolò Piccolo Flocco.

«Per tutti i salsicciotti di mastro Taverna… essi sarebbero dei mozzi chiacchieroni come sei tu.»

«Ma se è un’ora che non apro il becco,» disse il gabbiere.

«Tienilo dunque chiuso per un altro poco, per lasciare che Jor finisca il suo racconto.»

«Ecco fatto.»

E così dicendo, Piccolo Flocco si regalò un colpo di mano sulla bocca, come per serrarla.

«Mi posi ad esaminare quello straccio,» continuò allora il canadese «e m’avvidi ben presto che era un pezzo di fazzoletto. In un angolo si scorgeva ancora una lettera dell’alfabeto, assai male ricamata, come si usa per la biancheria della gente ordinaria.»

«E quella lettera era?»

«Una <D>.»

Testa di Pietra fece udire un sordo brontolio.

«Pare che voi diate molta importanza a una semplice <D>. Non vi capisco, mio caro,» soggiunse poi.

«Bah, capirete dopo.»

«Continuate allora.»

«Io ebbi subito il sospetto della verità, dinanzi a quella scoperta, e lo comunicai a Wolf, il quale mi si mostrò alquanto preoccupato. Comunque fosse, eravamo in ballo e bisognava ballare… vale a dire ritrovare Riberac vivo o morto. Ripigliammo il nostro cammino, seguendo le numerose tracce che avevamo sotto gli occhi, quando fra i grandi alberi della foresta echeggiò un canto breve che a qualunque altro orecchio sarebbe parso d’un uccello, ma che al mio, troppo esercitato dal lungo uso, si rivelò tosto come un segnale. <In guardia, Wolf.> sussurrai al mio compagno, <siamo spiati.> <Io non federe nessuno,> mi rispose l’assiano. <Non fa nulla; io sento per istinto che qui, intorno a noi, stanno i nemici nascosti.> <E son proprio nemici?> mi chiese Wolf. <Non se ne può dubitare. Riberac è con essi: se egli non ci ha traditi, vuol dire che è loro prigioniero e quindi, poiché deve trattarsi degli Irochesi, che non è riuscito ad indurli a fumare il calumet della pace coi Mandani. Se fosse altrimenti, il trafficante, accortosi di noi, si sarebbe già fatto vivo>. Avevo appena terminato di parlare, che comparvero di dietro ai tronchi degli alberi più grossi delle facce dipinte coi colori di guerra, mentre una specie di spettro umano sorgeva davanti ai nostri occhi. E sapete a chi rassomigliava quel fantasma?»

«A chi?»

«A mastro Davis, il meticcio canadese datovi per guida dal generale Washington.»

«Per centomila campanili sgangherati!…» urlò, dando un balzo, Testa di Pietra. «Era dunque risuscitato quel furfante?»

«O piuttosto non era morto.»

«Che tutti gli scorpioni di mastro Taverna lo possano attanagliare!… Sfuggire al lago infuriato, alle punte degli scogli, dopo aver ricevuto una buona palla di pistola, ecco una dannata fortuna che capita solo ai bricconi di quello stampo là.»

«Davis aveva la fronte fasciata ed era pallido e truce,» proseguì a narrare il canadese. «Vedendoci insieme, Wolf e me, aveva per certo sentito scoppiare in cuore la rabbia della vendetta. Io vidi la situazione disperata. Capii che l’unica via da scegliere ormai era quella di correre a mettervi sull’avviso e dissi al mio compagno:

<Fuggiamo. È necessario che almeno uno di noi giunga vivo all’accampamento. La foresta è invasa dagli Irochesi, i quali marciano sul sentiero della guerra>. <Prendiamo il largo, allora.> <Raccomandatevi alle gambe che avete buone, amico Wolf.> <Sì.> <A proposito… sapete la strada? Almeno quella percorsa?> L’assiano si grattò in testa con aria costernata. <Bene,> gli dissi io, <non vi turbate, amico mio; prendete quella direzione e correte diritto a qualunque costo, giungerete all’accampamento dei nostri.> E tracciai in aria un rapido gesto. <Ed ora via, più velocemente che è possibile, senza preoccuparvi di me. Io ho pratica dei luoghi e spero d’ingannare gl’indiani.> Wolf non si fece ripetere la raccomandazione e si diede alla fuga nella direzione che gli avevo indicata. Alla mia volta io battei in ritirata. Vedendoci scappare, Davis, il quale senza dubbio aveva esitato a farci assalire pel sospetto che la nostra presenza nascondesse un’insidia, forse un’imboscata dei Mandani, cacciò una bestemmia e mi prese di mira con l’archibugio che, non so se ve l’ho detto, teneva in mano. Io udii la detonazione e la palla passò sibilando accanto a me. Ero salvo da quel primo segno di ostilità, e tale constatazione mi mise le ali ai piedi. Intesi però scoppiare dietro alle mie spalle dei formidabili clamori, e capii che gl’lrochesi si mettevano ad inseguirci. Ben presto io e Wolf ci perdemmo di vista, e dell’assiano non seppi più nulla. Non avendolo trovato all’accampamento, temo ch’egli si sia smarrito nella foresta sconfinata o abbia avuto la disgrazia di cadere nelle mani degli Irochesi.»

«Pofero fratello mio!…» gemette Hulrik.

«È vero però che potrebbe essere giunto all’accampamento durante il tempo che noi ne manchiamo.»

«Ma voi, Jor, come avete fatto a salvarvi dall’inseguimento degli indiani nostri nemici?» chiese Piccolo Flocco.

«Oh bella, lavorando di gambe,» rispose Testa di Pietra. «Credi forse, mozzo del Pouliguen, che il nostro bravo canadese sia un poltronaccio del tuo stampo?»

«I mozzi del Pouliguen, signor sackem dei Mandani. sono più lesti di tutte le teste dure della Bretagna,» rispose il gabbiere con la voce beffarda.

«No; mastro Testa di Pietra,» soggiunse il canadese subitamente, «non mi sono messo in salvo con l’aiuto delle sole mie gambe. È vero. Io corro come un cervo o come un alce, ma fra gli Irochesi vi sono dei diavoli che galoppano come il vento, e resistono alla corsa più d’un cavallo. I più celebri sono Piè Veloce, Alce Giovane, Gambe di Cervo, Alce Rosso, Vento dei Boschi, Fulmine che viene, ed altri che è inutile enumerare, sebbene abbiano tutti nomi caratteristici denotanti la loro qualità di corridori famosi. Quei demoni, i quali sono anche formidabili guerrieri, mi inseguivano da vicino più degli altri, e mi avrebbero certo raggiunto, se improvvisamente un fenomeno straordinario, per me inesplicabile, non li avesse arrestati. Attraversavamo allora una estensione di betulle nane, coperte di neve, e io cominciavo a sentir la stanchezza opprimermi, mancarmi il fiato, una certa paura entrarmi in cuore, per l’impossibilità di difendermi validamente e con vantaggio, quando una voce profonda e forte, che pareva scendere dal cielo, gridò: <Io sono il Grande Spirito, al quale tutti gl’indiani devono obbedienza. Tornino indietro i guerrieri irochesi e chiamino a raccolta la loro tribù, poiché molti sono i pericoli che la minacciano. Bisogna lasciar andare il pericolo minore per volgersi a far fronte a quello maggiore. Bisogna lasciar fuggire la preda più piccola per conquistare quella più grande. Hugh!… Hunh!… Il Grande Spirito ha parlato>. Immediatamente i miei inseguitori si arrestarono e, dopo essersi guardati attorno con molto stupore, evidentemente si convinsero trattarsi della loro divinità che si svelava ad essi nel mistero, per metterli in guardia, e si prosternarono sulla neve, esclamando: <Il Grande Spirito ha parlato ai suoi figli indiani!… Ed essi obbediranno alla sua voce potente!> Vi confesso, amici miei, ch’io credo poco alle divinità indiane e ai loro miracoli. Il fenomeno però non si poteva negare, tanto più che si verificava per me in un buon punto, salvandomi addirittura da una morte certa. Il fatto mi rianimò, mi diede nuove forze e mi spinse maggiormente alla fuga. E corsi, sapete, oh se corsi!… Non sentivo più dietro di me quei dannati Irochesi, ma temevo di vederli apparire di nuovo. Eppoi volevo giungere presto qui per avvertirvi della scoperta fatta.»

«Già… la resurrezione di Davis,» brontolò Testa di Pietra.

«State sicuro, mastro, che quel demonio farà di tutto per ritrovarvi e catturarvi prima che possiate giungere al forte di Ticonderoga.»

«È vero, gli stanno a cuore le lettere.»

«E la vendetta.»

«Per la barba della mia vecchia pipa, gliene faremo vedere di belle al signor Davis, è vero, Piccolo Flocco?»

«Lo spero bene.»

«Davis è un uomo che non perdona,» continuò il canadese, «e che non dimentica… e d’altra parte la ferita che gli avete inferta, caro mastro, sarà sempre lì a ricordargli il bretone e i suoi amici. Sono certo che in questo momento tutti gli Irochesi si preparano ad assalire i vostri Mandani, poiché la vostra elevazione a loro sackem deve essere già nota alle altre tribù indiane. Per questo ho voluto correre in traccia di voi.»

«E avete fatto benone.»

«Poiché, oltre all’ostilità di partigiani, vi è l’odio della spia del marchese Halifax.»

«Ah, per il borgo di Batz, tutte le volte che mi si nomina il rivale del mio bravo capitano, il sangue mi dà un tuffo.»

Attraverso la nebbia che gravava sul lago rimbombarono di nuovo alcuni colpi di cannone.

«Nespole!…» brontolò il canadese, parendogli di sentire nell’aria spessa il rumore dei proiettili. «Ci cannoneggiano.»

«Sono le navi inglesi che cercano di orientarsi,» soggiunse Testa di Pietra. «Ma non riuscirà loro facile il farlo con questo buio.»

E così dicendo emise un sospirone.

«Che avete, mastro?» gli chiese Jor.

«Penso che se fosse ancora viva e salda in gambe la mia brava Tuonante noi potremmo lanciarla in mezzo alle navi inglesi e far con esse un’ottima marmellata per i pesci del Champlain.»

«E invece,» soggiunse Piccolo Flocco. «non abbiamo che dei fragili canotti coi quali non potremmo fare troppo cammino. È meglio perciò non pensare più alla nostra povera e tanto amata Tuonante, a cui abbiamo già recitato il de profundis.»

«Ma esiste però ancora il suo comandante, il valoroso baronetto Mac-Lellan,» riprese il vecchio bretone in tono energico, «e con lui son vivi e sani sempre i marinai superstiti. E noi daremo quel nome caro ad una corvetta che rassomigli a quella defunta, scelta fra le navi della squadra americana, e resusciteremo con essa le glorie dei terribili corsari delle Bermude.»

«In questo bicchier d’acqua che risponde al nome di lago Champlain?» disse il giovane gabbiere, incorreggibile nel far continuamente arrabbiare il suo mastro.

«Qui e altrove, ragazzaccio impertinente,» urlò Testa di Pietra picchiando un gran pugno sulla frisata del canotto, sì che l’imbarcazione oscillò di più, «qui e altrove, purché i cuori siano sempre quelli d’un tempo, ed esistano ancora nemici della libertà da combattere, inglesi soprattutto, poiché io ho una straordinaria antipatia per quei manici di scopa. Ehi, amici, siamo giunti, mi sembra.»

Infatti la flottiglia dei Mandani era arrivata presso l’accampamento, del quale si vedevano brillare tra le tenebre i fuochi accesi qua e là.

I canotti furono spinti nella insenatura piccola, ma ben riparata dall’alta fila di scogliere, la quale serviva ad essi da porto di rifugio, e i guerrieri indiani sbarcarono allineandosi tosto sotto gli ordini del vice sackem Macchia di Sangue, che aveva più pratica del luogo di Testa di Pietra e dei suoi compagni.

Nessun clamore sospetto giunse ai loro orecchi dal campo mandano. Sembrava che tutto vi fosse calmo e tranquillo.

Testa di Pietra, Piccolo Flocco e gli altri cominciarono perciò a credere che Jor avesse esagerato nei suoi timori, e che li avesse strappati invano dal saccheggio del brigantino, quando lo sparo di un’arma da fuoco echeggiò lontano, dal centro della foresta di betulle nane che si estendeva lungo il fiume, fino alle sponde del Champlain.

«Corpo di un campanile di Bretagna!…» esclamò Testa di Pietra. «Ecco una notte movimentata: da una parte i cannoni del generale Burgoyne, dall’altra i catenacci degli Irochesi; non è certo la musica che ci manca, se abbiamo voglia di ballare. E dunque in marcia, andiamo a fare un giro di furlana, se così è destinato!…»

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