Capitolo XXII – La sorpresa del barone

Il corridoio che i fuggitivi percorrevano si prolungava in una specie di condotto sotterraneo che, a giudicare dalla sua direzione, doveva seguire la lingua di terra, la quale univa la rupe alla riva del lago Champlain.

La via coperta era stretta, bassa e freddissima per i ghiaccioli che sporgevano dalla volta scabrosa, prodotti dallo stillare dell’acqua.

La baronessa di Clairmont e sua figlia, Mary di Wentwort e Lisetta, costrette a quella dura marcia, mostravano tuttavia una calma e una serenità che destavano l’ammirazione dei loro amici, incuorandoli e dissipando in gran parte le preoccupazioni ond’erano presi.

Il barone non li aveva ancora raggiunti ed Enrico aveva dato ordine a suo fratello e a Piccolo Flocco di ritornare sui loro passi per vedere ciò che ne era avvenuto, quando il gentiluomo apparve correndo.

Grandi esclamazioni di gioia lo accolsero.

Al chiarore delle torce egli appariva tranquillissimo. sebbene avesse il viso soffuso di pallore. La cordicella che prima stringeva nelle mani era sparita.

«Affrettatevi, miei cari,» disse schiudendo le labbra a un sorriso rassicurante, «il tempo stringe e noi dobbiamo uscire da questo canale.»

«Dove andiamo?» chiese Sir William.

«Per ora sulla riva del Champlain, ove troveremo modo di nasconderci in qualche bosco di betulle e di pini giganti.» rispose. «Gl’inglesi sono occupati a scovarci nel castello e spero che, prima che si siano stancati di cercarci là dentro, avvenga qualche cosa di straordinario che impedisca loro di darci noia, almeno per ora.»

«Amerei che vi spiegaste più chiaramente»

«Perdonatemi, Sir William, mi voglio prendere il gusto di ammannirvi una sorpresa che vi riuscirà molto gradita, non temete…»

«Bene.»

«Se quindi ve la svelassi ora, diminuirei di troppo il suo effetto…»

«Che mi auguro bellissimo.»

«Portentoso addirittura.»

«A tale patto rinunzio alla spiegazione.»

«Ve ne troverete contento.»

«Mi rendete però impaziente, signor barone.»

«Bah, la vostra attesa non sarà lunga, ve lo accerto.»

«Quanto ne avremo ancora di questa via sotterranea?»

«Pochi minuti.»

«Ciò mi consola, perché in verità amo meglio trovarmi all’aperto, tanto più che sono…»

«Proseguite, amico mio.»

«Già, sono un po’ preoccupato per la mia corvetta.»

«La vostra corvetta?… Perbacco, parlandomi di essa voi mi suggerite una buona idea.»

«Che è probabilmente anche la mia.

«Lo credete?»

«Sentiamo.»

«Io pensavo…»

«Di recarci tutti a bordo della mia nuova Tuonante.»

«Per l’appunto.»

«E attendere là il ritorno di Testa di Pietra.»

«Sì.»

«Il bravo mastro non può tardare molto a ritornare.»

«A meno che non gli sia capitata qualche disgrazia.»

«A lui?… Eh, via, si vede che non lo conoscete quel diavolo di uomo, signor barone.»

«È probabile.»

«Vedrete che a furia di prendersela con tutti i campanili della terra e di giurare sulla sua pipa di famiglia, avrà già trovato il modo di salvare Riberac, di compiere qualche straordinaria impresa e di giungere in tempo per aiutarci.»

«In verità io non chiedo di meglio.»

«Allora è stabilito: alla corvetta.»

«Ho a bordo i miei corsari e degli eccellenti cannoni; faremo mangiar piombo e ferro a pranzo e a cena agli inglesi, se ardiranno venire a disturbarci fin là.»

«Uhm, credo che riuscirà loro difficile farlo.»

«Tanto meglio… Sono preoccupato di una circostanza grave.»

«Cioè?»

«Ricordatevi la missione di cui sono incaricato: è assolutamente necessario avvertire Washington degli avvenimenti verificatisi qui in questi ultimi giorni. Le due lettere che Testa di Pietra recava hanno perduto ogni valore; il piano di guerra è completamente sconvolto e bisogna cambiarlo. Se fosse eseguito come venne formulato, sarebbe la rovina irreparabile per la giovane repubblica. Burgoyne avrebbe facile gioco ed io non potrei sopravvivere a tanta sventura, di cui sento che mi graverebbe sulla coscienza la terribile responsabilità.»

Il barone afferrò la destra del corsaro e la strinse con forza.

«La mia decisione è presa.» disse. «Fra poco constaterete che nessun riguardo, nessun interesse mi trattiene più dal dichiarare apertamente i miei sentimenti, che sono di odio verso gli inglesi, di simpatia per la nuova repubblica degli Stati Uniti. Da questo momento mi dedico tutto alla causa della libertà americana. insieme con i miei figli e i miei amici. Enrico partirà fra poche ore accompagnato da alcuni fedeli algonchini per portare a Washington le notizie che vi premono.»

«Ah. grazie! ciò mi tranquillizza.»

«Quanto a noi… faremo ben accorti gli inglesi dell’errore commesso col volerci nemici ad ogni costo. Zitto, ora, siamo giunti allo sbocco della via sotterranea.»

Un chiarore scialbo appariva da una fenditura che sembrava tagliare le tenebre.

I fuggiaschi le si avvicinarono e Sir William si accorse che si trattava di uno spazio interposto fra le rocce accostate in modo da formare un varco quasi invisibile dall’esterno, mentre in realtà costituiva un passaggio sufficiente per qualsiasi persona.

Il barone di Clairmont e il corsaro uscirono per primi e si trovarono sulla riva del Champlain.

Di fronte ad essi il castello si profilava nero ed alto nello sfondo grigio del cielo, lasciando giungere fino ai loro orecchi le clamorose grida degli invasori ebbri senza dubbio della facile vittoria ottenuta.

I due uomini volsero in giro sguardi acuti e sospettosi, e tennero un po’ teso l’udito per ascoltare.

«Nulla… nessuno,» disse Sir William Mac-Lellan. «Evidentemente tutti gli inglesi si sono ritirati nel vostro castello.»

«Che non tarderà ad essere la loro tomba,» rispose il barone di Clairmont con un sorriso beffardo. «Hanno distrutto la quiete, la felicità della mia solitudine, ed io li ricambio come si meritano. Chiamate tutti, sir; è bene che tutti godano della sorpresa che ho preparata.»

Gli altri non tardarono ad uscire e a riunirsi attorno al nobile vecchio che stava li, ritto, immobile, con gli occhi terribilmente fissi alla cara dimora abbandonata, quasi attendesse un avvenimento straordinario.

Pochi minuti di silenziosa aspettativa trascorsero. Ad un tratto una vampa mostruosa s’accese nell’aria bigia, arrossandola, un’esplosione simile al rombo di centinaia di cannoni sparati contemporaneamente scosse gli strati aerei echeggiando lontana, e una raggiera di punti neri, più o meno grossi, fu scaraventata da ogni lato, per ricadere poi in una temibile pioggia di fuoco, di ferro, di legno, di pietre.

Pareva che la rupe, su cui il castello era piantato, si fosse accesa in un cratere spaventoso, per uno di quei drammi tellurici che nessuna forza umana può allontanare, liberandosi satanicamente da quel peso che la mano dell’uomo le aveva imposto contro la sua volontà.

Fu un grido unanime che si sprigionò dalla gola dei nostri amici a quella vista.

«Il castello che salta!…»

«È orribile!… È orribile!…»

«Ma come può essere avvenuto?»

«Inglesi star caldi, ora,» osservò Hulrik stropicciandosi allegramente le mani. «Mai feduto sì grande arrosto d’inglesi, è fero, Wolf?»

«No,» rispose l’assiano.

«Peccato non essere qui anche mastro Testa di Pietra… Egli tirare fuori tutti suoi campanili, e poi accendere una fecchia pipa con un tizzone inglese.»

Sir William Mac-Lellan era rimasto come impietrito a quell’orribile spettacolo, senza saper bene se nel suo stupore entrava più angoscia che soddisfazione.

«Ah, signor barone!» disse infine. «Siete un uomo tremendo voi, e fate delle sorprese che spaventano anche uomini provati a tutti i pericoli, a tutte le emozioni come siamo noi, i corsari delle Bermude. Voi avete annientato in un sol colpo tutti i vostri attuali nemici… E uno fra essi, il capo, era, ahimè, mio fratello.»

«Egli era indegno di voi, sir, e la giustizia di Dio l’ha punito, per mano mia, di tutte le sue colpe.»

«Ah, quali tristi vicende ha la vita!… Avevo un fratello che io avrei amato come sanno amare gli uomini che al cospetto dei liberi orizzonti, dei cieli più vasti, degli oceani più azzurri, tra la solitudine e la nostalgia, fasciano il cuore di tenerezza ed innalzano l’animo ai più dolci sentimenti… e fui invece costretto ad odiarlo, perché minava di continuo la mia felicità, perché voleva ad ogni costo il mio disonore, la mia morte. Ed ora dinanzi al suo tragico destino, sento tutto il mio rancore sciogliersi come neve al raggio del sole, dileguare rapido e intenerirsi nel perdono, nel rammarico, nel pianto. Sì… perché vedete, io, il corsaro, l’uomo forte e saldo contro ogni emozione, piango al pari di una povera femminuccia… e ho il cuore gonfio di uno strano cordoglio…»

Il barone taceva, accarezzando macchinalmente la testa del suo cane fedele che uno degli algonchini aveva avuto cura di condur via dal castello.

«Sir William,» disse l’abate Rivoire, «i vostri sentimenti sono degni di un perfetto cristiano e di un nobilissimo spirito. Iddio ne terrà conto per formarvi quella felicità che voi sì ben meritate.»

Il corsaro fece un gesto di cortese protesta e soggiunse risoluto:

«Se nulla qui ci trattiene, cerchiamo di raggiungere subito la corvetta. Le signore non troveranno certamente inopportuno un buon letto in una cuccetta ben riparata che permetta loro di riaversi dalle emozioni provate e di ripararsi dal freddo che taglia come lame di rasoio. D’altronde, a me preme rassicurare i miei marinai che devono ora essere in un’ansia terribile, avendo veduto saltar in aria il castello.»

«In marcia, allora.» disse il barone. «La strada è breve.»

Si misero in cammino.

«Era dunque minato il castello?» chiese Sir William al signor di Clairmont, strada facendo.

«Sì, amico mio, come è minata la lingua di terra che unisce l’isolotto su cui esso sorgeva alla riva,» rispose il vecchio gentiluomo. «Avevo da un pezzo il presentimento, anzi la certezza, che gl’inglesi non avrebbero tollerato a lungo la mia presenza nel Champlain, e volli premunirmi, se non per la salvezza, per la vendetta.»

Il resto della via fu compiuto in silenzio: tutti sentivano istintivamente il bisogno d’isolarsi un po’ con se stessi, per riordinare le idee.

Quando giunsero alla corvetta trovarono sul ponte tutti i corsari in grande orgasmo e il signor Howard, luogotenente di Sir William, occupato a sorvegliare un’operazione abbastanza singolare: l’impiccagione di un uomo.

«Per San Patrick, signor Howard,» gridò Mac-Lellan avanzandosi fin sotto la murata di tribordo, «cosa diavolo fate?»

«Voi, mio comandante!» rispose il luogotenente, mentre uno scoppio di evviva salutava da parte dei marinai il ritorno del loro capitano. «Siete sano e salvo?»

«Lo vedete pure.»

«Il cielo sia ringraziato… Ma l’esplosione del castello?»

«Provocata da noi.»

«Ottimamente.»

«Gettateci subito una scala.»

«È già fatto.»

Tutti salirono a bordo, e immediatamente il signor Howard condusse le signore nel castello di poppa guidandole alle cabine del quadro.

Sir William e gli altri erano rimasti sulla tolda.

«Nulla di nuovo?» chiese il baronetto ad un contromastro timoniere.

«No, comandante,» rispose il lupo di mare, «salvo quella cosa là.»

E indicò col braccio teso uno dei pennoni di maestra, dal quale pendeva una forma scura che aveva tutto l’aspetto di un corpo umano.

«Un impiccato!…» esclamò Sir William.

«Sì, comandante.»

«E chi è?»

«Il prigioniero.»

«Che… il pilota?»

«Già!»

«Tu mi spiegherai come si è potuto trasgredire al mio ordine, infrangere la disciplina, giustiziando in mia assenza un uomo che io non avevo condannato ancora.»

Il contromastro parve imbarazzato a rispondere.

«Comandante,» disse alfine «puniteci tutti, poiché tutti siamo colpevoli… Ma che volete? Quando abbiamo udito l’esplosione del castello ove si sapeva che voi eravate alloggiato, abbiamo compreso che era opera di quei cani d’inglesi, e allora siamo stati invasi da un tal furore che, per vendicarci su qualcuno, abbiamo voluto impiccare il pilota che, col suo tradimento, era stato la vera causa della vostra morte, perché proprio noi vi credevamo morto ed eravamo disperati, ve lo assicuro. Il signor Howard non voleva, perché sperava di rivedervi, giurandoci che un uomo come voi non poteva morire così stupidamente… E aveva ragione, mah!… Ora ne sapete quanto me. Vi abbiamo disobbedito perché vi vogliamo troppo bene… ma la disciplina è sempre la disciplina.»

Sir William restò muto, pensieroso, concentrato in sé.

«Che uomini!» mormorò sospirando, e a voce alta soggiunse:

«È morto ormai lo sciagurato?»

«Eh sì, comandante, a quest’ora viaggia verso il regno del suo compare Belzebù.»

«Allora fa chiudere il cadavere in un sacco, aprire un foro attraverso il ghiaccio e che trovi anch’esso pace in fondo al lago. È necessario obliare… e io non voglio veder nulla che ridesti la mia memoria.»

«Sarete subito obbedito, comandante,» rispose il lupo di mare allontanandosi in fretta.

«Andiamo sotto coperta,» disse il baronetto a coloro che adesso diventavano suoi ospiti. «Noi abbiamo ben bisogno di quiete per l’anima e di riposo pel corpo.»

Tutti lo seguirono in silenzio.

Il resto di quella notte d’inferno trascorse senza incidenti e così gran parte del giorno successivo.

Fin dalle prime ore del mattino Enrico Clairmont aveva abbandonato la nave insieme con gli Algonchini di scorta, munito di una lettera di Sir William per Washington, e si era posto in cammino per raggiungere al più presto i quartieri generali del dittatore della nuova repubblica.

Il baronetto e i suoi amici erano sul ponte della corvetta assieme alle signore, quando una sentinella posta sulla più alta gabbia del trinchetto gridò nel portavoce:

«Attenti, truppa d’uomini in vista.»

«Puoi distinguere se sono indiani od europei?» chiese a sua volta Sir Wilham usando il portavoce.

«Non ancora comandante.»

«Guardate bene.»

«Lo sto facendo.»

«E si dirigono alla nostra volta?»

«Non vi è dubbio.»

«Probabilmente si tratta di Testa di Pietra che ritorna.»

«Comincio infatti a riconoscere, nell’avanguardia, degli uomini bianchi.»

«Ah, ah!…»

«Però…»

«Continua.»

«Mi par di vedere… Corpo di mille fregate, in guardia., mio comandante.»

«Che altro c’è?»

«Si tratta…»

«Di chi?»

«D’inglesi in carne ed ossa. Ecco là le loro divise… Possano tutti sprofondare in un crepaccio!»

«Ne sei ben certo?»

«Ormai non posso più dubitarne. Ho gli occhi buoni io.»

«Quanti saranno?»

«Non meno di duecento.»

«Soldati?»

«Soldati e marinai, ora li distinguo anche meglio: sono tutti armati, hanno le baionette in canna come se dovessero fare una carica.»

«Per San Patrick!… E Testa di Pietra che non si vede ancora!» disse Sir Mac-Lellan. «Che gli sia accaduta proprio una disgrazia, come avete pensato voi, signor barone? È evidente che da qualche nave di Burgoyne fu udita l’esplosione fortissima di questa notte e che una truppa d’inglesi si è messa in marcia pur da una grande distanza, per verificare ciò che è avvenuto.»

«Lo suppongo anch’io.»

«Avremo quindi addosso ben presto anche quegli altri là, ma ora non li temo. La mia nave è solida come una fortezza galleggiante e ha una corona di cannoni e un armamento di colubrine e di spingarde facilmente trasportabili capaci di tener testa ad un esercito. Fucili e munizioni non mi mancano… sono perciò abbastanza tranquillo.»

«Tuttavia non è piacevole dover dare battaglia ogni momento quando si hanno da difendere degli esseri cari.»

«Sono del vostro parere, signor barone, ma ci troviamo in piena guerra e, come ad una festa da ballo, bisogna danzare.»

«Cercheremo di non far torto alla… scuola francese, in tal caso, sebbene i miei capelli bianchi non mi lascino troppe illusioni… Ah, ah!»

Mac-Lellan rise anch’egli dell’allusione scherzosa, e soggiunse:

«Permettete, chiamo i miei uomini e li preparo a ricevere gli invitati.»

«Fate pure, sir.»

«Tutti gli uomini sul ponte!…» tuonò allora il corsaro.

All’ordine, l’intero equipaggio con a capo il luogotenente Howard venne a schierarsi lungo le murate, armato di moschetto, pistole e sciabole d’arrembaggio.

«Miei bravi,» disse Sir William, «una truppa d’inglesi è in vista e marcia a questa volta, certo con l’intento di assalirci. Io vi conosco per avervi provato in cento imprese rischiose, dalle quali uscite meco con onore. Credo quindi che anche oggi non farete torto alla vostra fama.»

«Evviva Sir William, evviva il corsaro delle Bermude.»

«Grazie, amici miei; ed ora ciascuno vada al suo posto di combattimento. I fucilieri dietro le murate, gli artiglieri ai loro pezzi; si spari solo al comando e a colpo sicuro.»

Gli uomini, ai quali si erano aggiunti i fuggitivi del castello, obbedirono prontamente. Piccolo Flocco e i due assiani si erano posti vicini l’uno all’altro con accanto una dozzina di moschetti e un mucchio di pistole cariche, per avere la possibilità di fare un fuoco continuo e regolare.

Dietro di loro tre algonchini avevano l’incarico di ricaricare le armi man mano che venivano scaricate. L’attesa non fu lunga. Ad un tratto la testa della colonna inglese comparve. Sir William, che ne spiava l’arrivo, impallidì repentinamente e afferrò un braccio del barone di Clairmont che gli stava accanto.

«Amico mio,» mormorò, «sapete chi guida quelle truppe?»

«In verità no.»

«Ve lo dirò io… Il marchese di Halifax.»

«Diavolo, ha dunque l’anima ben attaccata al corpo, quello scellerato, e gode la protezione del demonio per avere tanta fortuna.»

«Ed io che avevo sparso delle lagrime pietose sulla morte del mio signor fratello. Eccolo invece ancora là, più che mai furioso e infiammato d’odio contro di me. Ma basta, ora vi giuro che ogni scrupolo è spento in me e che non lascerò nulla d’intentato per ucciderlo come un cane idrofobo.»

«Io vi aiuterò, sir.»

La conversazione fu interrotta dall’avvicinarsi di tre soldati inglesi, uno dei quali recava sulla baionetta una bandiera bianca da parlamentario, e un ufficiale.

La truppa si era fermata, schierandosi davanti alla corvetta. L’ufficiale inglese con i suoi tre uomini si appressò fino a portata di voce, e gridò:

«Chiedo di parlare col comandante di codesta nave.»

«Sono io,» rispose il corsaro.

«Vorreste favorirmi il vostro nome?»

«Non ho motivo per celarvelo, gentleman: sono il baronetto William Mac-Lellan.»

«È appunto di voi, sir, che cercavo.»

«Avete qualcosa da dirmi?»

«Nulla per parte mia, qualcosa per parte del marchese di Halifax mio comandante.»

«Oh, oh, si è dunque salvato il mio degno fratello?»

«Sì, si è salvato, sir, e per un vero miracolo…»

«Sapete che sono ben di cattivo gusto oggigiorno gli operatori di miracoli?»

«Sir, il marchese di Halifax è scampato all’esplosione che ha distrutto il castello di Clairmont, lasciando sotto le rovine fiammeggianti tutti i suoi. Egli ha tentato di raggiungere a piedi una delle nostre navi, ed ha avuto la fortuna d’incontrare noi che, avendo udito lo scoppio, movevamo alla sua ricerca. Ora egli è deciso a definire per sempre la sua lite mortale con voi e vi propone un duello alle seguenti condizioni: voi ed egli vi porrete di fronte alla distanza di trenta passi, segnati da trenta pistole poste al suolo ad un passo l’una dall’altra; vi scambierete un colpo ad ogni passo, gettando via la pistola vuota, finché uno dei due sia morto. Accettate?»

«Accetto,» rispose Sir William con noncuranza.

L’ufficiale s’inchinò e ritornò verso i suoi.

Speak Your Mind

*

 

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.