Capitolo XXIII – Il ritorno di Testa di Pietra

I preparativi di quello strano duello, che doveva rappresentare la soluzione di una lotta tremenda che durava da anni tra due uomini che avevano lo stesso sangue, non furono lunghi.

Dalla parte degli inglesi alcuni soldati si avanzarono fino a metà dello spazio che intercedeva tra la corvetta e le truppe avversarie e deposero sul ghiaccio, l’una a distanza di un passo dall’altra, quindici pistole.

Piccolo Flocco. accompagnato dai due assiani e da due marinai scese a sua volta dalla nave e andò a collocare alla stessa guisa un eguale numero di pistole, così che dall’ultima arma di Halifax all’ultima di Sir William non vi fosse che lo spazio di un passo.

Il corsaro abbracciò Mary di Wentwort che, per non commuoverlo, nascondeva a prezzo di sforzi titanici la sua angoscia, cercando di mostrarsi tenera ma calma e piena di fiducia; poi strinse la mano ai suoi amici e salutò affettuosamente i suoi corsari.

«Se mi dovesse accadere una disgrazia,» disse «non cercate di vendicarmi; un duello non è un assassinio e chi vince deve essere rispettato, purché non abbia commesso frode. Vi raccomando soltanto di difendere contro ogni insidia, ogni pericolo, la mia sposa.»

«Giuriamo di obbedirvi,» tutti risposero commossi e con le lacrime agli occhi.

«Grazie, ed ora… non addio, ma arrivederci. La buona causa è mia, e il cielo mi assisterà, ne sono certo.»

Si strappò con dolce violenza dalle braccia di Mary e scese rapidamente la scaletta di corda che pendeva fuori bordo, recandosi a passi rapidi al suo posto di fronte al suo avversario che già si era collocato presso la prima pistola.

Un ufficiale inglese regolava il duello.

I testimoni erano l’equipaggio della nave e le truppe inglesi.

«Pronti,» disse ad un tratto il direttore. «Alle pistole.»

Con un atto simultaneo Sir William e Halifax si chinarono ad afferrare il calcio dell’arma che era ai loro piedi.

«Puntate!…» soggiunse l’ufficiale.

I due avversari si presero di mira. Il loro polso era fermo, il loro viso calmo, lo sguardo fisso e sicuro: indifferente quello di Sir William, iniettato di odio quello del marchese di Halifax.

Il comando estremo echeggiò nel silenzio pieno di ansiosa attesa.

«Fuoco!…»

Due spari si udirono, seguiti da due sibili acuti attraverso gli strati aerei. Gli avversari rimasero ritti e immobili. Nessuno era stato colpito.

«Avanti!…» disse dopo una breve pausa l’ufficiale che dirigeva il duello e, visti i due accaniti nemici avanzare di un passo, ripeté i comandi di prima.

Altre due detonazioni ruppero il silenzio.

Ma questa volta un grido soffocato tenne loro dietro e si vide il marchese di Halifax barcollare e portarsi una mano ad un fianco. Alcuni fecero l’atto di accorrere per sostenerlo, ma egli respinse con un cenno ogni aiuto.

«Continuiamo,» disse con la voce un po’ debole ma sempre tagliente e gravida di rancore. «Il duello non deve cessare che quando uno dei due sia morto o incapace di sparare una pistola… ed io non sono ancora in tali condizioni, grazie al diavolo mio compare, e non ho ancora perduta la speranza di vedere, prima di morire, il sangue del mio fratello bastardo.»

Il corsaro finse di non udire le parole insultanti e restò impassibile.

Il duello continuò. Altri due spari si ripercossero negli echi fievoli del lago gelato.

Lord Halifax, colpito, girò su se stesso e poi cadde al suolo.

Allora avvenne una cosa orribile, mostruosa, atroce per la spaventosa violenza di un odio enorme, per la ferocia incredibile di un’anima bassa e chiusa ad ogni sentimento nobile.

Il ferito, bruttato di sangue, già invaso dai geli della morte, si trascinò disperatamente verso la pistola vicina, ansando, digrignando i denti, concentrando gli ultimi resti della sua vitalità agonizzante nello sguardo cupo, nell’atto selvaggiamente omicida.

Dopo sforzi titanici riuscì ad afferrare l’arma, a sollevarsi un poco sul braccio sinistro, prendere tremando la mira, e sparare…

Un’esclamazione giunse al suo orecchio, ed egli vide il corsaro portar la mano al braccio sinistro.

«Ah, finalmente l’ho colpito… Egli avrà un ricordo del mio odio finché gli durerà la vita. Ora posso morire, giacché così ha voluto il mio infelice destino… Ma… muoio.. male… maledicendo tutti… che possano essere… infelici… in… eterno… Ah!…»

Impallidì orribilmente, roteò le pupille in una suprema contrazione spasmodica, poi s’arrovesciô all’indietro, restando immobile.

Era morto.

Quando Sir William risalì a bordo della sua corvetta fu accolto dalle più calorose dimostrazioni di gioia per la sua vittoria che lo liberava per sempre da un nemico implacabile.

Mary di Wentwort se lo stringeva fra le braccia piangendo di consolazione e gli diceva le cose più dolci e più soavi, il barone di Clairmont gli teneva la destra serrata fra le mani. Piccolo Flocco sfogava la sua contentezza prodigando un mondo di galanterie a Lisetta, Hulrik esprimeva a Wolf il suo dispiacere per l’assenza di Testa di Pietra che aveva perduto una sì bella occasione, tutti i marinai ballavano allegramente e beffeggiavano con gesti di sfida gl’inglesi.

Improvvisamente alcuni colpi di moschetto partirono dalla schiera inglese in risposta delle beffe dei corsari; i proiettili passarono al di sopra delle teste, ma bastarono a provocare lo scoppio delle ostilità.

Subito i marinai della nuova Tuonante riafferrarono le armi e aprirono un nutrito fuoco di moschetteria sui nemici, urlando a squarciagola:

«Viva il corsaro delle Bermude, viva la repubblica americana… Abbasso l’Inghilterra!»

Ma gli inglesi erano davvero soldati coi fiocchi e sebbene fossero fulminati terribilmente dalle scariche dei corsari, marciarono intrepidi all’assalto della corvetta.

Ad un tratto la nave si coronò di un balenio stupendo e un rombo unito, fortissimo scosse gli strati aerei.

Erano le sue artiglierie che entravano in ballo, seminando la morte tra i nemici.

Questi però erano più del doppio numerosi e avevano armi eccellenti; esperimentati alle battaglie, prodi per virtù naturale, animati dal furore, essi avanzavano vigorosamente, senza curarsi della strage che si faceva tra di loro.

Giunsero così alle murate della corvetta, decimati in gran parte, ma fuori del tiro dei cannoni, e montarono all’arrembaggio. S’impegnò allora una lotta feroce; i colpi seguivano ai colpi, grida formidabili e bestemmie si univano agli spari delle armi da fuoco, riempiendo l’aria di un clamore orribile che l’eco portava lontano sulle sue ali.

Ad onta della strenua difesa dei nostri, parecchie decine d’inglesi erano riuscite a balzare sul ponte della nave conquistandone a palmo a palmo il ponte e già i corsari cominciavano a dubitare seriamente delle sorti di quella lotta accanita, quando si udirono in lontananza delle grida innumerevoli e si videro le rive del Champlain popolarsi d’infiniti punti neri che ingrandivano, prendevano forma umana, figura d’indiani accorrenti, gesticolanti, urlanti.

Poi, come un’eco fievole appena distinta arrivò una caratteristica esclamazione:

«Corpo di tutti i campanili della Bretagna!…»

Fu un raggio di sole fra le tenebre, una scossa elettrica ad un corpo inerme.

«È Testa di Pietra, è il mastro della Tuonante che ritorna con i suoi Mandani e con gli Algonchini… Evviva! evviva!… un ultimo sforzo, via!…»

I corsari ripigliarono animo all’istante e fecero una furiosa carica contro gl’inglesi, respingendoli addosso ai bordi delle murate.

Ma, a quale scopo narrare più oltre una lotta che ormai si decideva nettamente?

Mezz’ora dopo, Testa di Pietra giungeva alla corvetta seguito da Jor e da Riberac, ch’egli aveva ritrovato chiuso in una capanna con le mani e piedi legati, in mezzo a una foresta che gli Irochesi avevano incendiata condannando il trafficante al rogo indiano.

Gl’inglesi furono in parte uccisi, gli altri vennero fatti prigionieri. Sir William li disarmò e li rimandò spogli al generale Burgoyne, dicendo loro:

«Voi combattete per una causa ingiusta: quella di tutti gli oppressori. Pure la vostra colpa è nulla in confronto a quella di coloro che vi mandano al macello, come poveri esseri senza valore. È perciò che vi rilascio, augurandovi di ritornare presto alle vostre case sani e salvi. La liberazione dell’America del Nord sarà ben presto un fatto compiuto. Iddio stesso la vuole e nessuna potenza umana potrà impedirla. Io saluto in voi il valore sfortunato. Andate!»

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