l’appuntamento notturno

La notte era tempestosa, non essendosi ancora calmato l’uragano. Il vento ruggiva e ululava su mille toni sotto le boscaglie, torcendo i rami delle piante e facendo volteggiare in alto masse di fogliame, piegando e sradicando i giovani alberi e scuotendo poderosamente quelli annosi. Di tratto in tratto dei lampi abbaglianti rompevano le fitte tenebre e le folgori cadevano abbattendo ed incendiando le più alte piante della foresta.
Era una vera notte d’inferno, una notte propizia per tentare un audace colpo di mano sulla villa. Disgraziatamente gli uomini dei prahos non erano là ad aiutare Sandokan nella temeraria impresa.
Quantunque l’uragano infuriasse, i due pirati non si arrestavano. Guidati dalla luce dei lampi cercavano di giungere al fiumicello per vedere se qualche praho avesse potuto rifugiarsi nella piccola baia.
Senza curarsi della pioggia che cadeva a torrenti, ma guardandosi bene dal farsi schiacciare dai grossi rami che il vento schiantava, dopo due ore giungevano inaspettatamente presso la foce del fiumicello, mentre per recarsi alla villa avevano impiegato doppio tempo.
– In mezzo all’oscurità ci siamo guidati meglio che in pieno giorno – disse Yanez. – Una vera fortuna con simile notte.
Sandokan scese la riva e, atteso un lampo, lanciò un rapido sguardo sulle acque della baia.
– Nulla, – disse colla voce sorda, – che sia toccata qualche disgrazia ai miei legni?
– Io credo che non abbiano ancora abbandonato i loro rifugi – rispose Yanez.
– Si saranno accorti che un altro uragano minacciava di scoppiare e da gente prudente non si saranno mossi. Tu sai che non è cosa facile approdare qui quando infuriano le onde ed i venti.
– Ho delle vaghe inquietudini, Yanez.
– Cosa temi?
– Che siano naufragati.
– Bah! I nostri legni sono solidi. Fra qualche giorno noi li rivedremo a giungere. Hai dato l’appuntamento in questa piccola baia, è vero?
– Sì, Yanez.
– Verranno. Cerchiamo un ricovero, Sandokan. Piove a dirotto e quest’uragano non si calmerà tanto presto.
– Dove andare? Vi sarebbe la capanna costruita da Giro-Batol durante il suo soggiorno in quest’isola, ma dubito di poterla trovare.
– Gettiamoci in mezzo a quel macchione di banani. Le gigantesche foglie di quelle piante ci ripareranno alla meglio.
– Meglio costruire un attap, Yanez.
– Non ci avevo pensato. Fra pochi minuti possiamo averlo.
Servendosi dei kriss tagliarono alcuni bambù che crescevano sulle rive del fiumicello e li piantarono sotto un superbo pombo, le cui fronde assai fitte erano quasi bastanti per ripararli dalla pioggia. Incrociatili come lo scheletro di una tenda a due tetti pioventi, li coprirono colle gigantesche foglie dei banani, sovrapponendole in modo da formare due tetti pioventi.
Come Yanez aveva detto, pochi minuti furono sufficienti per costruire quel riparo.
I due pirati vi si cacciarono sotto, portando con loro un grappolo di banani, poi dopo una parca cena composta unicamente di quelle frutta, cercarono di addormentarsi mentre l’uragano si scatenava con maggior violenza, con accompagnamento di lampi e di tuoni assordanti.
La notte fu pessima. Parecchie volte Yanez e Sandokan furono costretti a rafforzare la capannuccia ed a ricoprirla di frasche e di foglie di banani per ripararsi dalla pioggia diluviale ed incessante.
Verso l’alba però il tempo si rimise un po’ in calma, permettendo ai due pirati di dormire tranquillamente fino alle dieci del mattino.
– Andiamo a cercare la colazione – disse Yanez, quando si svegliò. – Spero di trovare ancora qualche ostrica colossale.
Si spinsero verso la baia seguendo la sponda meridionale e, frugando le numerose scogliere, riuscirono a procurarsi parecchie dozzine di ostriche d’incredibile grossezza ed anche alcuni crostacei. Yanez v’aggiunse dei banani ed alcuni pombo, aranci grossi assai e molto succolenti.
Terminata la colazione, risalirono la costa verso il settentrione sperando di scoprire qualcuno dei loro prahos, ma non ne videro alcuno veleggiare al largo.
– La burrasca non avrà permesso loro di ridiscendere al sud – disse Yanez a Sandokan. – Il vento ha soffiato costantemente da mezzodì.
– Pure sono inquieto assai sulla loro sorte, amico – rispose la Tigre della Malesia. – Questo ritardo mi fa nascere dei gravi timori.
– Bah!… I nostri uomini sono marinai abilissimi.
Durante gran parte della giornata si aggirarono per quelle spiagge, poi verso il tramonto si ricacciarono sotto i boschi per avvicinarsi alla villa di lord James Guillonk.
– Credi tu che Marianna abbia trovato il nostro biglietto? – chiese Yanez a Sandokan.
– Ne sono certo – rispose la Tigre.
– Allora verrà all’appuntamento.
– Purché sia libera.
– Cosa vuoi dire, Sandokan.
– Temo che lord James la sorvegli strettamente.
– Diavolo!…
– Noi però andremo egualmente all’appuntamento, Yanez. Il cuore mi dice che io la vedrò.
– Bada a non commettere delle imprudenze però. Nel parco e nella villa vi saranno certamente dei soldati.
– Di questo sono certo.
– Cerchiamo di non farci sorprendere.
– Agirò con calma.
– Me lo prometti?
– Sì.
– Allora andiamo.
Procedendo adagio, cogli occhi in guardia, gli orecchi tesi, spiando prudentemente i fitti cespugli ed i macchioni, onde non cadere in qualche imboscata, verso le sette della sera giungevano nelle vicinanze del parco. Rimanevano ancora pochi minuti di crepuscolo, e potevano bastare per esaminare la villa.
Dopo essersi accertati che nessuna sentinella si trovava nascosta in quei macchioni, s’avvicinarono alla palizzata e aiutandosi l’un l’altro la scalarono. Lasciatisi cadere dall’altra parte, si cacciarono in mezzo alle aiuole devastate in gran parte dall’uragano e si nascosero fra un gruppo di peonie di Cina.
Da quel luogo potevano osservare comodamente ciò che succedeva nel parco e anche nel villino, non avendo dinanzi che dei radi alberi.
– Vedo un ufficiale ad una finestra del villino – disse Sandokan.
– Ed io una sentinella che veglia presso l’angolo del padiglione – disse Yanez.
– Se quell’uomo rimane colà anche dopo calate le tenebre, ci darà non poco fastidio.
– Lo spacceremo – rispose Sandokan risolutamente.
– Sarebbe meglio sorprenderlo ed imbavagliarlo. Hai qualche corda tu?
– Ho la mia fascia.
– Benissimo e… là!… Bricconi!…
– Cos’hai Yanez?
– Non hai osservato che hanno messo le inferriate a tutte le finestre?…
– Maledizione di Allah!… – esclamò Sandokan coi denti stretti.
– Fratellino mio, lord James deve conoscere molto l’audacia della Tigre della Malesia. Per Bacco!… Quante precauzioni!…
– Allora Marianna sarà sorvegliata.
– Certamente, Sandokan.
– E non potrà recarsi al mio appuntamento.
– È probabile, Sandokan.
– Ma la vedrò egualmente.
– In quale modo?…
– Scalando la finestra. Tu già avevi previsto ciò e le abbiamo scritto che si procurasse una fune.
– E se i soldati ci sorprendono?…
– Daremo battaglia. Tu sai che hanno paura di noi.
– Non dico di no.
– E che noi ci battiamo come dieci uomini.
– Sì, quando le palle non fioccano troppo fitte. Eh!… Guarda, Sandokan.
– Cosa vedi?…
– Un drappello di soldati che lascia la villa – rispose il portoghese che si era issato su di una grossa radice di un vicino pombo per meglio osservare.
– Dove vanno?…
– Lasciano il parco.
– Che vadano a sorvegliare i dintorni?…
– Lo temo.
– Meglio per noi.
– Sì, forse. Ed ora aspettiamo la mezzanotte.
Accese con precauzione una sigaretta e si sdraiò a fianco di Sandokan, fumando tranquillamente come si trovasse sul ponte di uno dei suoi prahos. Sandokan invece, roso dall’impazienza, non poteva starsene fermo un istante. Di quando in quando si alzava per scrutare cercando di discernere ciò che accadeva nella palazzina del lord o di scoprire la giovanetta. Dei vaghi timori lo agitavano, credendo che gli fosse preparato qualche agguato nei dintorni dell’abitazione. Forse il biglietto poteva essere stato trovato da qualcheduno e recato a lord James invece che a Marianna. Non sapendo più frenarsi, continuava ad interrogare Yanez, ma questi continuava a fumare senza rispondere. Finalmente giunse la mezzanotte.
Sandokan si era alzato di scatto pronto a slanciarsi verso la palazzina, anche a rischio di trovarsi improvvisamente dinanzi i soldati di lord James. Yanez però, che era pure balzato in piedi, lo aveva afferrato per un braccio.
– Adagio, fratellino – gli disse. – Tu mi hai promesso di essere prudente.
– Non temo più nessuno – disse Sandokan. – Sono deciso a tutto.
– Mi preme la pelle, amico. Tu dimentichi che v’è una sentinella presso il padiglione.
– Andiamo a ucciderla adunque.
– Basta che non dia l’allarme.
– La strangoleremo.
Lasciarono il macchione di peonie e si misero a strisciare fra le aiuole nascondendosi dietro ai cespugli e dietro i rosai di Cina che crescevano numerosi. Erano giunti a circa cento passi dalla palazzina quando Yanez fermò Sandokan.
– Lo vedi quel soldato? – gli chiese.
– Sì.
– Mi pare che si sia addormentato appoggiato al suo fucile.
– Tanto meglio, Yanez. Vieni e sii pronto a tutto.
– Ho preparato il mio fazzoletto per imbavagliarlo.
– E io ho in mano il kriss. Se manda un grido lo uccido.
Si cacciarono entrambi in mezzo ad una fitta aiuola che si prolungava in direzione del padiglione e strisciando come due serpenti giunsero a soli pochi passi dal soldato.
Quel povero giovanotto, certo di non venire disturbato, si era appoggiato al muro del padiglione e sonnecchiava tenendo il fucile tra le mani.
– Sei pronto, Yanez? – chiese Sandokan con un filo di voce.
– Avanti.
Sandokan con un salto da tigre si avventò sul giovane soldato e afferratolo strettamente per la gola, con una spinta irresistibile lo atterrò. Yanez si era pure slanciato. Con mano lesta imbavagliò il prigioniero, poi gli legò le mani e le gambe dicendogli con voce minacciosa:
– Bada!… Se fai un solo gesto ti pianto il mio kriss nel cuore. Poi volgendosi verso Sandokan:
– Alla tua fanciulla, ora. Sai quali sono le sue finestre?
– Oh sì! – esclamò il pirata che già le fissava. – Eccole là, sopra quel pergolato. Ah! Marianna se tu sapessi che io sono qui!…
– Abbi pazienza, fratellino mio, e se il diavolo non ci mette la coda, la vedrai. Ad un tratto Sandokan retrocesse mandando un vero ruggito.
– Che hai? – chiese Yanez impallidendo.
– Hanno chiuso le sue finestre con una inferriata!
– Diavolo!… Bah! Non importa!
Raccolse una manata di sassolini e ne lanciò uno contro i vetri producendo un leggero rumore. I due pirati attesero rattenendo il respiro, in preda ad una viva emozione.
Nessuna risposta. Yanez lanciò un secondo sassolino, poi un terzo, indi un quarto.
D’improvviso i vetri si aprirono e Sandokan, alla azzurra luce dell’astro notturno, scorse una forma bianca che riconobbe subito.
– Marianna! – sibilò, alzando le braccia verso la giovanetta che si era curvata sull’inferriata.
Quell’uomo così energico così forte, vacillai come se avesse ricevuto una palla in mezzo al petto e rimase lì, come trasognato, cogli occhi sbarrati, pallido, tremante.
Un leggero grido irruppe dal petto della giovane lady che aveva subito riconosciuto il pirata.
– Andiamo Sandokan – disse Yanez salutando galantemente la giovanetta,
– Raggiungi la finestra, ma spicciati che qui non tira buon vento per noi. Sandokan si slanciò verso la palazzina, s’arrampicò sul pergolato e si aggrappò ai ferri della finestra.
– Tu! tu!… – esclamò la giovanetta pazza di gioia. – Gran Dio!
– Marianna! oh mia adorata fanciulla! – mormorò egli con voce soffocata coprendole le mani di baci. – Finalmente ti rivedo! Tu sei mia, è vero, mia, ancora mia!
– Sì, tua, Sandokan, in vita e in morte – rispose la vaga lady. – Vederti ancora dopo d’averti pianto per morto! È troppa gioia, amor mio!
– Mi credevi adunque spento?
– Sì, e ho sofferto assai, immensamente, credendoti perduto per sempre.
– No, diletta Marianna, non muore così presto la Tigre della Malesia. Sono passato senza essere ferito in mezzo al fuoco dei tuoi compatrioti, ho attraversato il mare, ho fatto appello ai miei uomini e sono tornato qui alla testa di cento tigri, pronto a tutto per salvarti.
– Sandokan! Sandokan!
– Ascolta ora, "Perla di Labuan" – rispose il pirata. – È qui il lord?
– Sì e mi tiene prigioniera temendo la tua comparsa.
– Ho veduto dei soldati.
– Sì e ve ne sono molti che vegliano dì e notte nelle stanze inferiori. Sono circondata dappertutto, chiusa fra le baionette e le inferriate, nella assoluta impossibilità di fare un passo all’aperto. Mio prode amico, temo di non poter mai diventare tua moglie, di non poter mai essere felice, perché mio zio che ora mi odia non acconsentirà mai a imparentarsi colla Tigre della Malesia e tutto farà per allontanarci, per frapporre fra me e te l’immensità dell’oceano e l’immensità dei continenti.
Due lagrime, due perle, caddero dai suoi occhi.
– Tu piangi! – esclamò questi con istrazio. – Amor mio, non piangere o io divento pazzo e commetto qualche follia. Odimi, Marianna! I miei uomini non sono lontani, oggi sono pochi, ma domani o posdomani saranno molti e tu sai quali uomini sono i miei. Per quanto il lord barrichi la villa, noi entreremo, dovessimo incendiarla o rovesciare le muraglie. Io sono la Tigre e per te mi sento capace di mettere a ferro e a fuoco non la villa di tuo zio ma Labuan intera. Vuoi che io ti rapisca questa notte? Non siamo che due, ma se vuoi noi infrangeremo i ferri che ti tengono prigioniera, dovessimo pagare colla nostra vita la tua libertà. Parla, parla Marianna che il mio affetto per te mi rende pazzo e m’infonde tanta forza da espugnare da solo questa villa!…
– No!… No!… – esclamò ella. – No, mio valoroso! Morto tu, cosa sarebbe di me? Credi tu che io ti sopravviverei? Ho fiducia di te, sì tu mi salverai, ma quando saranno giunti i tuoi uomini, quando tu sarai forte, potente tanto da schiacciare gli uomini che mi tengono prigioniera o da rompere le sbarre che mi rinchiudono.
In quell’istante si udì sotto il pergolato un leggero fischio. Marianna trasalì.
– Hai udito? – chiese.
– Sì – rispose Sandokan. – È Yanez che s’impazienta.
– Forse ha scorto un pericolo, Sandokan. Nelle ombre della notte forse si cela qualche cosa di grave per te, o mio prode amico. Gran Dio! L’ora della separazione è giunta.
– Marianna!
– Se non ci vedessimo più mai!…
– Non dirlo, amor mio, poiché dovunque avessero a portarti io saprei raggiungerti.
– Ma intanto…
– Si tratta di poche ore, mia diletta. Domani forse i miei uomini giungeranno e sfonderemo queste muraglie.
Il fischio del portoghese si udì un’altra volta.
– Parti mio nobile amico – disse Marianna. – Tu corri forse dei grandi pericoli.
– Oh! Io non li temo.
– Parti Sandokan, ti prego, parti prima che ci sorprendano.
– Lasciarti!… Non so decidermi ad abbandonarti. Perché non ho condotto i miei uomini qui? Avrei potuto assalire improvvisamente questa casa e rapirti.
– Ma fuggì, Sandokan! Ho udite un passo nel corridoio.
– Marianna!…
In quel momento nella stanza echeggiò un urlo feroce.
– Miserabile! – tuonò una voce.
Il lord, poiché era proprio lui, afferrò Marianna per le spalle cercando di staccarla dai ferri mentre si udivano levare i chiavistelli alla porta del pianterreno.
– Fuggi! – gridò Yanez.
– Fuggi Sandokan! – ripetè Marianna.
Non vi era un solo momento da perdere. Sandokan, che ormai si vedeva perduto se non fuggiva, con un salto immenso attraversò il pergolato precipitandosi nel giardino,

DUE PIRATI IN UNA STUFA

Ogni altro uomo che non fosse stato un malese, si sarebbe senza dubbio rotte le gambe in quel salto, ma non così accadde a Sandokan che, oltre ad essere solido come l’acciaio, possedeva una agilità da quadrumane. Aveva appena toccato terra, sprofondando in mezzo ad una aiuola, che era di già in piedi col kriss in pugno, pronto a difendersi. Il portoghese fortunatamente era lì. Gli saltò addosso e afferratolo per le spalle lo spinse bruscamente verso un gruppo d’alberi dicendogli:
– Ma fuggi, disgraziato! Vuoi farti fucilare?
– Lasciami Yanez – disse il pirata che era in preda ad una viva esaltazione. – Assaltiamo la villa!
Tre o quattro soldati apparvero ad una finestra prendendoli di mira coi fucili.
– Salvati, Sandokan! – si udì a gridare Marianna.
Il pirata fece un salto di dieci passi salutato da una scarica di fucili e una palla gli attraversò il turbante. Si voltò ruggendo come una fiera e scaricò la sua carabina contro una finestra frantumando i vetri e colpendo in fronte un soldato.
– Vieni! – gridò Yanez, trascinandolo verso la palizzata. – Vieni, testardo imprudente.
La porta della palazzina erasi aperta e dieci soldati seguiti da altrettanti indigeni armati di torce si slanciarono all’aperto.
Il portoghese fece fuoco attraverso il fogliame. Il sergente che comandava la piccola squadra cadde.
– Giuoca di gambe, fratellino mio – disse Yanez, mentre i soldati si erano fermati attorno al loro capo.
– Non so decidermi a lasciarla sola – disse Sandokan a cui la passione sconvolgeva il cervello.
– Ti ha detto di fuggire. Vieni o io ti porto.
Due soldati comparvero a soli trenta passi e dietro a loro un drappello numeroso. I due pirati non esitarono più. Si cacciarono in mezzo ai cespugli e alle aiuole e si misero a correre verso la cinta salutati da alcuni colpi di fucile sparati a casaccio.
– Fila dritto, fratellino mio – disse il portoghese che caricava la carabina, sempre però correndo. – Domani restituiremo a quei messeri le fucilate che ci hanno sparato dietro.
– Temo di aver rovinato tutto, Yanez – disse il pirata con voce triste.
– Perché amico mio?
– Ora che sanno che io sono qui non si lasceranno più sorprendere.
– Non dico di no, ma se i prahos sono giunti avremo cento tigri da lanciare all’assalto. Chi resisterà a simile carica?
– Ho paura del lord.
– Cosa vuoi che faccia?
– È un uomo capace di ammazzare sua nipote, piuttosto di lasciarla cadere nelle mie mani.
– Diavolo! – esclamò Yanez grattandosi furiosamente la fronte. – Non avevo pensato a questo.
Stava per fermarsi onde riprendere lena e trovare una soluzione a quel problema, quando in mezzo alla profonda oscurità vide correre dei riflessi rossastri.
– Gli inglesi! – esclamò. – Hanno trovate le nostre tracce e ci inseguono attraverso il parco. Via di trotto, Sandokan!
Tutti e due partirono correndo, inoltrandosi sempre più nel parco, onde giungere alla cinta.
Di passo in passo però che si allontanavano, la marcia diventava sempre più difficile. Dappertutto alberi grandissimi, lisci gli uni e dritti, nodosi e contorti gli altri, s’ergevano senza lasciare quasi passaggi.
Essendo però uomini che sapevano orizzontarsi anche per istinto, erano certi di giungere in breve alla cinta.
Infatti, attraversata la parte boscosa del parco, si ritrovarono sui terreni coltivati.
Passarono senza arrestarsi dinanzi al chiosco cinese; essendo tornati indietro per non smarrirsi fra quelle gigantesche piante, si cacciarono nuovamente in mezzo alle aiuole e correndo attraverso i fiori giunsero finalmente presso la cinta senza esser stati scoperti dai soldati che perlustravano già tutto il parco.
– Adagio, Sandokan – disse Yanez, trattenendo il compagno, il quale stava per slanciarsi verso la palizzata. – Gli spari possono aver attirati i soldati che abbiamo veduti partire dopo il tramonto.
– Sarebbero già entrati nel parco?
– Eh!… Taci!… Accovacciati qui vicino ed ascolta.
Sandokan tese gli orecchie ma non udì altro che lo stormire delle foglie.
– Hai veduto qualcuno? – chiese.
– Ho udito un ramo a spezzarsi dietro la palizzata.
– Può essere stato qualche animale.
– E possono essere stati i soldati. Vuoi che ti dica di più? Mi è sembrato di aver udito delle persone chiacchierare. Scommetterei il diamante del mio kriss contro una piastra che dietro a questa palizzata vi sono delle giacche rosse imboscate. Non ti ricordi del drappello che ha lasciato il parco?
– Sì, Yanez. Noi però non ci fermeremo nel parco.
– Cosa vuoi fare?
– Assicurarmi se la via è libera.
Sandokan, diventato ora assai più prudente, si alzò senza far rumore e dopo d’aver lanciato un rapido sguardo sotto gli alberi del parco, si arrampicò colla leggerezza d’un gatto, sulla palizzata.
Aveva appena raggiunta la cima, quando udì dall’altra parte delle voci sommesse.
– Yanez non si era ingannato – mormorò.
Si curvò innanzi e guardò sotto gli alberi che crescevano dall’altra parte della cinta. Quantunque l’oscurità fosse profonda, scorse vagamente delle ombre umane radunate presso il tronco d’una colossale casuarina. Si affrettò a scendere e raggiunse Yanez il quale non si era mosso.
– Tu avevi ragione – gli disse. – Al di là della cinta vi sono degli uomini in agguato.
– Sono molti?
– Mi parevano una mezza dozzina.
– Per Giove!…
– Cosa fare, Yanez?
– Allontanarci subito e cercare altrove una via di scampo.
– Temo che sia troppo tardi. Povera Marianna!… Forse ci crederà già persi e forse uccisi.
– Non pensiamo alla fanciulla per ora. Siamo noi che corriamo un grave pericolo.
– Andiamocene.
– Taci Sandokan. Al di là della cinta odo parlare.
Infatti si udivano delle voci, una rauca e l’altra imperiosa che parlavano presso la palizzata. Il vento che soffiava dalla foresta le portava distintamente agli orecchie dei due pirati.
– Ti dico, – diceva la voce imperiosa, – che i pirati sono entrati nel parco per tentare un colpo di mano sulla villa.
– Non credo, sergente Bell – rispose l’altra.
– Vuoi, stupido, che i nostri camerati sparino delle cartucce per divertimento? Tu hai un cervello vuoto, Willi.
– Allora non potranno sfuggirci.
– Lo spero. Siamo in trentasei e possiamo vegliare tutta la cinta e radunarci al primo segnale.
– Su, lesti, distendetevi e aprite bene gli occhi. Forse abbiamo da fare colla Tigre della Malesia.
Dopo quelle parole si udirono dei rami a spezzarsi e delle foglie a scrosciare, poi più nulla.
– Quei bricconi sono cresciuti ben di numero – mormorò Yanez curvandosi verso Sandokan. – Noi stiamo per venire circondati, fratellino mio, e se non agiamo con somma prudenza cadremo nella rete che ci hanno tesa.
– Taci!… – disse la Tigre della Malesia. – Odo a parlare.
La voce imperiosa aveva ripreso allora: – Tu, Bob, rimarrai qui mentre io vado ad imboscarmi dietro a quell’albero della canfora. Tieni il fucile armato e gli occhi fissi sulla cinta.
– Non temete, sergente – rispose colui che era stato chiamato Bob.
– Credete che abbiamo proprio da fare colla Tigre della Malesia?
– Quell’audace pirata si è pazzamente innamorato della nipote di lord Guillonk, un bocconcino destinato al baronetto Rosenthal, e puoi immaginarti se quell’uomo rimarrà tranquillo. Io sono sicurissimo che questa notte ha tentato di rapirla, malgrado la sorveglianza dei nostri soldati.
– E come ha fatto a sbarcare senza che sia stato veduto dai nostri incrociatori?
– Avrà approfittato dell’uragano. Si dice anzi che dei prahos sieno stati veduti a veleggiare al largo della nostra isola.
– Quale audacia!…
– Oh!… Ne vedremo ben altre! La Tigre della Malesia ci darà da fare, te lo dico io, Bob. È l’uomo più audace che io abbia conosciuto.
– Ma questa volta non ci sfuggirà. Se si trova nel parco non uscirà così facilmente.
– Basta: al tuo posto, Bob. Tre carabine ogni cento metri possono essere sufficienti ad arrestare la Tigre della Malesia ed i suoi compagni. Non scordarti che ci sono mille sterline da guadagnare se noi riusciamo a uccidere il pirata.
– Una bella cifra in fede mia – disse Yanez, sorridendo. – Lord James ti valuta molto, fratellino mio.
– Aspettino di guadagnarle – rispose Sandokan. Si alzò e guardò verso il parco.
In lontananza vide dei punti luminosi apparire e scomparire fra le aiuole. I soldati della villa avevano perdute le tracce dei fuggiaschi e cercavano a casaccio, aspettando probabilmente l’alba per intraprendere una vera battuta.
– Per ora non abbiamo nulla da temere da parte di quegli uomini – disse.
– Vuoi che cerchiamo di fuggire da qualche altra parte? – disse Yanez. – Il parco è vasto e forse tutta la cinta non è sorvegliata.
– No, amico. Se ci scorgono avremo alle spalle una quarantina di soldati e non potremo così facilmente sfuggire ai loro colpi. Ci conviene per ora nasconderci nel parco.
– E dove?
– Vieni con me, Yanez, e ne vedrai di belle. Tu mi hai detto di non commettere pazzie ed io voglio mostrarti se sarò prudente.
"Se mi uccidessero, la mia fanciulla non sopravviverebbe alla mia morte, dunque non tentiamo un passo disperato."
– E non ci scopriranno i soldati?
– Non lo credo. D’altronde noi non ci fermeremo molto qui. Domani sera, accada quello che si vuole, noi prenderemo il volo. Vieni Yanez. Ti condurrò in un luogo sicuro.
I due pirati si alzarono mettendosi le carabine sotto il braccio e si allontanarono dalla cinta tenendosi nascosti in mezzo alle aiuole.
Sandokan fece attraversare al compagno una parte del parco e lo condusse in un piccolo fabbricato ad un solo piano, che serviva da serra pei fiori, e che sorgeva a circa cinquecento passi dalla palazzina di lord Guillonk. Aprì senza far rumore la porta e s’avanzò a tentoni.
– Dove andiamo? – chiese Yanez.
– Accendi un pezzo d’esca – rispose Sandokan.
– Non scorgeranno la luce dal di fuori?
– Non vi è pericolo. Questo fabbricato è circondato da piante foltissime.
Yanez obbedì.
Quella stanza era piena di grandi vasi contenenti delle piante esalanti acuti profumi, essendo ormai quasi tutte in fiore ed ingombra di sedie e di tavolini di bambù d’estrema leggerezza.
All’estremità opposta il portoghese vide una stufa di dimensioni gigantesche, capace di contenere una mezza dozzina di persone.
– È qui che ci nasconderemo? – chiese a Sandokan. – Hum! Il luogo non mi sembra poi tanto sicuro. I soldati non mancheranno di venire ad esplorarlo specialmente con quel migliaio di sterline che lord James ha promesso per la tua cattura.
– Non ti dico che non vengano.
– E allora ci prenderanno.
– Adagio, amico Yanez.
– Vuoi dire?
– Che non verrà a loro l’idea di andarci a cercare entro una stufa.
Yanez non seppe frenare uno scoppio di risa.
– In quella stufa!… – esclamò.
– Sì, ci nasconderemo là dentro.
– Diventeremo più neri degli africani, fratellino mio. La fuliggine non deve scarseggiare in quel monumentale calorifero.
– Ci laveremo più tardi. Yanez.
– Ma… Sandokan!…
– Se non vuoi venire spicciatela tu cogli inglesi. Non v’è da scegliere Yanez, o nella stufa o farsi prendere.
– Non si può esitare sulla scelta – rispose Yanez ridendo. – Andiamo intanto a visitare il nostro domicilio per vedere se è almeno comodo.
Aprì lo sportello di ferro, accese un altro pezzo d’esca e si cacciò risolutamente nell’immensa stufa starnutendo sonoramente. Sandokan l’aveva seguito senza esitare. Posto ve n’era a sufficienza, ma vi era anche grande abbondanza di cenere e di fuliggine. Il forno era così alto che i due pirati potevano mantenersi comodamente diritti.
Il portoghese a cui l’umore allegro non faceva mai difetto, s’abbandonò ad una ilarità clamorosa non ostante la pericolosa situazione.
– Chi mai potrà immaginarsi che la terribile Tigre della Malesia è venuta a rifugiarsi qui? – disse. – Per Giove! Sono certo che noi la passeremo liscia.
– Non parlare così forte, amico – disse Sandokan. – Potrebbero udirci.
– Bah! Devono essere ancora lontani.
– Non quanto credi. Prima di entrare nella serra ho veduto due uomini visitare le aiuole a poche centinaia di passi da noi.
– Che vengano a visitare anche questo luogo?
– Ne sono certo.
– Diavolo!… Se volessero vedere anche la stufa?
– Non ci faremo prendere tanto facilmente, Yanez. Abbiamo le nostre armi, quindi possiamo sostenere un assedio.
– E nemmeno un biscotto, Sandokan. Spero che non ti accontenterai di mangiare della fuliggine. E poi le pareti della nostra fortezza non mi sembrano molto solide. Con un buon colpo di spalla si possono diroccare.
– Prima che atterrino le pareti ci slanceremo noi all’attacco – disse Sandokan, che aveva, come sempre, una immensa fiducia nella propria audacia e nel proprio valore.
– Bisognerebbe però procurarci dei viveri.
– Ne troveremo, Yanez. Ho veduto dei banani e dei pombo crescere intorno a questa serra e noi andremo a saccheggiarli.
– Quando?
– Taci!… Odo delle voci!
– Mi fai venire i brividi.
– Tieni pronta la carabina e non temere. Ascolta!
Al di fuori si udivano delle persone a parlare e ad avvicinarsi. Le foglie scrosciavano ed i sassolini del viale che conduceva alla serra stridevano sotto i piedi dei soldati.
Sandokan fece spegnere l’esca, disse a Yanez di non muoversi, poi aprì con precauzione lo sportello di ferro e guardò fuori.
La serra era ancora tutta oscura, però attraverso i vetri vide alcune torce a brillare in mezzo ai macchioni di banani che crescevano lungo il viale. Guardando con maggior attenzione scorse cinque o sei soldati preceduti da due negri.
– Che si preparino a visitare la serra? – si chiese con una certa ansietà. Rinchiuse con precauzione lo sportello e raggiunse Yanez nel momento che uno sprazzo di luce illuminava l’interno del piccolo edificio.
– Vengono – disse al compagno, il quale non osava quasi più respirare. – Teniamoci pronti a tutto, anche a slanciarci contro quegli importuni. È montata la tua carabina?
– Ho già il dito sul grilletto.
– Benissimo: sguaina anche il kriss.
Il drappello entrava allora nella serra illuminandola completamente. Sandokan che si teneva presso lo sportello vide i soldati smuovere i vasi e le sedie visitando tutti gli angoli dello stanzone. Malgrado il suo immenso coraggio non seppe reprimere un fremito.
Se gli inglesi rovistavano in quel modo, era probabile che non sfuggisse ai loro occhi l’ampiezza della stufa. Era quindi da aspettarsi, da un momento all’altro, la loro poco gradita visita.
Sandokan si affrettò a raggiungere Yanez il quale si era accovacciato in fondo, semituffato nelle ceneri e nella fuliggine.
– Non muoverti – gli sussurrò Sandokan. – Forse non ci scopriranno.
– Taci! – disse Yanez. – Ascolta! Una voce diceva:
– Che quel dannato pirata abbia proprio preso il volo?
– O che si sia inabissato sottoterra? – disse un altro soldato.
– Oh! Quell’uomo è capace di tutto, amici miei – disse un terzo. – Se vi dico che quel sacripante non è un uomo come noi, ma un figlio di compare Belzebù.
– Io non sono di parere contrario, Varrez – riprese la prima voce con un certo tremito, che indicava come il suo proprietario avesse indosso una buona dose di paura. – Non l’ho veduto che una sola volta quell’uomo tremendo e mi è bastato. Non era un uomo, ma una vera tigre e vi dico che ha avuto il coraggio di scagliarsi contro cinquanta uomini senza che una palla potesse coglierlo.
– Tu mi fai paura, Bob – disse un altro soldato.
– E a chi non farebbe paura? – riprese colui che si chiamava Bob. – Io credo che nemmeno lord Guillonk si sentirebbe l’animo di affrontare quel figlio dell’inferno.
– Comunque sia noi cercheremo di prenderlo; è impossibile che ormai ci sfugga. Il parco è tutto circondato e se vorrà scalare la cinta vi lascerà le ossa. "Scommetterei due mesi della mia paga contro due penny che noi lo cattureremo."
– Gli spiriti non si prendono.
– Tu sei pazzo, Bob, a crederlo un essere infernale. Forse che i marinai dell’incrociatore, che sconfissero i due prahos alla foce del fiumicello, non gli hanno cacciato una palla nel petto? Lord Guillonk che ebbe la sventura di curare la ferita, asserì che la Tigre è un uomo come noi e che dal suo corpo usciva sangue eguale al nostro.
"Ora ammetti tu che gli spiriti abbiano del sangue?"
– No.
– Allora quel pirata non è altro che un briccone molto audace, molto valoroso, ma sempre un furfante degno del capestro.
– Canaglia – mormorò Sandokan. – Se non mi trovassi qui dentro ti farei vedere chi sono io!
– Orsù – riprese la voce di prima. – Cerchiamolo o perderemo le mille sterline che lord James Guillonk ci ha promesso.
– Qui non vi è. Andiamo a cercarlo altrove.
– Adagio, Bob. Vedo là una stufa monumentale capace di servire di rifugio a parecchie persone. Mano alle carabine e andiamo a vedere.
– Vuoi burlarti di noi, camerata? – disse un soldato. – Chi vuoi che si vada a nascondere là dentro? Non vi starebbero là dentro nemmeno i pigmei del re d’Abissinia.
– Andiamo a visitarla, vi dico.
Sandokan e Yanez si ritrassero più che poterono alla estremità opposta della stufa e si sdraiarono fra la cenere e la fuliggine per meglio sfuggire agli sguardi di quei curiosi.
Un istante dopo lo sportello di ferro veniva aperto e una striscia di luce si proiettava nell’interno, insufficiente però per illuminare l’intera stufa. Un soldato introdusse il capo ma subito lo ritrasse starnutendo sonoramente. Una manata di fuliggine, lanciatagli sul viso da Sandokan Io aveva reso più nero d’uno spazzacamino e l’aveva mezzo accecato.
– Al diavolo chi ha avuto l’idea di farmi mettere il naso entro questo magazzino di nerofumo!… – esclamò l’inglese.
– Era ridicola – disse un altro soldato. – Noi perdiamo qui del tempo prezioso senza nessun risultato. La Tigre della Malesia deve trovarsi nel parco e forse a quest’ora cerca di superare la cinta.
– Affrettiamoci a uscire – dissero tutti. – Non sarà qui che noi guadagneremo le mille sterline promesse dal lord.
I soldati batterono precipitosamente in ritirata chiudendo con fracasso la porta della serra. Per alcuni istanti si udirono i loro passi e le loro voci, poi più nulla.
Il portoghese quando non udì più nulla respirò a lungo.
– Corpo di centomila spingarde!… – esclamò. – Mi pare di essere vissuto cento anni in soli pochi minuti. Io ormai non davo una piastra della nostra pelle. Per poco che quel soldato si fosse allungato ci scopriva tutti e due. Si potrebbe accendere un cero alla Madonna del Pilar.
– Non nego che il momento sia stato terribile – rispose Sandokan. – Quando ho veduto a soli pochi palmi da me quella testa, ho veduto rosso dinanzi ai miei occhi e non so chi mi abbia trattenuto dal far fuoco.
– Che brutto affare sarebbe stato!…
– Ora però non avremo più nulla da temere. Continueranno le loro ricerche nel parco, poi finiranno col persuadersi che noi qua non ci siamo più.
– E quando ce ne andremo?… Non avrai certamente l’idea di rimanere qui qualche settimana. Pensa che i prahos possono ormai essere già giunti alla foce del fìumicello.
– Non ho alcuna intenzione di fermarmi qui, tanto più che i viveri non abbonderanno. Aspettiamo che la sorveglianza degli inglesi si rallenti un po’ e vedrai che prenderemo il volo. Anch’io ho vivissimo desiderio di sapere se i nostri uomini sono giunti, poiché senza il loro concorso non sarà possibile rapire la mia Marianna.
– Sandokan mio, andiamo a vedere se vi è qualche cosa da porre sotto i denti o da bagnare la gola.
– Usciamo Yanez.
Il portoghese, che si sentiva soffocare entro quella stufa fuligginosa, spinse innanzi la carabina, poi strisciò fino allo sportello saltando lestamente su di un vaso che era vicino onde non lasciare sul suolo tracce della fuliggine. Sandokan imitò quella prudente manovra e balzando di vaso in vaso giunsero alla porta della serra.
– Si vede nessuno? – chiese.
– Tutto è oscuro all’esterno.
– Allora andiamo a saccheggiare i banani.
Si spinsero fino ai macchioni che crescevano lungo il viale e trovati alcuni banani e dei pombo, fecero un’ampia provvista onde calmare gli stiracchiamenti dello stomaco e gli ardori della sete. Stavano per ritornare nella serra, quando Sandokan si arrestò dicendo:
– Aspettami qui, Yanez. Voglio andare a vedere dove sono i soldati.
– È un’imprudenza quella che vuoi commettere – rispose il portoghese. – Lascia che cerchino dove vogliono. Cosa importa ormai a noi?
– Ho un progetto in testa.
– Al diavolo il tuo piano. Per questa notte nulla si può fare.
– Chi lo sa? – rispose Sandokan. – Forse noi possiamo andarcene senza aspettare il domani. D’altronde la mia assenza sarà breve.
Porse a Yanez la carabina, afferrò il kriss e si allontanò silenziosamente tenendosi sotto la fosca ombra dei macchioni.
Giunto presso l’ultimo gruppo di banani, scorse a grande distanza alcune torce che si dirigevano verso la cinta.
– Pare che si allontanino – mormorò. – Vediamo cosa succede nella palazzina di lord James. Ah!… Se potessi vedere, sia pure per un istante la mia fanciulla… Me ne andrei di qui più tranquillo.
Soffocò un sospiro e si diresse verso il viale procurando di tenersi al riparo dei tronchi degli alberi e dei cespugli.
Giunto in vista della palazzina, si fermò sotto una macchia di manghi e guardò. Il suo cuore sussultò vedendo la finestra di Marianna illuminata.
– Ah! Se potessi rapirla! – mormorò, fissando ardentemente il lume che brillava attraverso l’inferriata.
Fece ancora tre o quattro passi tenendosi curvo al suolo, onde non farsi scoprire da qualche soldato che poteva trovarsi imboscato in quei dintorni, poi si arrestò nuovamente.
Aveva scorto un’ombra passare dinanzi al lume e le era sembrata quella della fanciulla amata.
Stava per slanciarsi innanzi, quando abbassando gli sguardi vide una forma umana ferma dinanzi alla porta della palazzina. Era una sentinella che stava appoggiata alla sua carabina.
– Che mi abbia scorto? – si chiese.
La sua esitazione durò un solo istante. Aveva ancora veduto l’ombra della fanciulla ripassare dietro l’inferriata.
Senza badare al pericolo si slanciò innanzi. Aveva fatti appena dieci passi quando vide la sentinella imbracciare rapidamente la carabina.
– Chi vive? – gridò.
Sandokan si era arrestato.

Speak Your Mind

*

 

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.